venerdì 25 maggio 2012

La fucina di Chaaria

Vorrei iniziare il post di oggi con un pensiero spirituale del Dalai Lama, che dice piu’ o meno: ci sono solo due giorni della vita in cui non puoi fare niente per gli altri. Ieri e domani. Proprio per questo impegati al massimo oggi nel servizio del prossimo.
Questo aforisma del buddismo tibetano mi aiuta sempre moltissimo ad alzarmi al mattino e ad affrontare i nuovi impegni, anche quando e’ dura e quando la giornata si presenta complicata ed estenuante.
Mi incoraggia pure a prendere decisioni radicali, che abbiano come fine l’aiuto del prossimo molto piu’ che l’autodifesa da eventuali problemi medico-legali.
Ed anche oggi la fucina di Chaaria lavora a tutto vapore.



Luciano spezza e ricostruisce le ossa; mette chiodi e placche e raddrizza arti guariti in posture abnormi per mesi. Toto si occupa delle ulcere e delle piaghe, e con gli innesti cutanei fa guarire ferite che sono rimaste aperte per mesi ed anche anni.


La sala operatoria sembra in effetti una fucina, ed in essa si sentono rumori nuovi, come quelli della sega elettrica, del dermatomo, del trapano, del martello e scalpello... ma in questi giorni riviviamo un po’ quello che era stato il titolo del primo cortometraggio in “superotto” su Tuuru e sull’azione caritativa del Prof Operti: “gli storpi camminano”.
Luciano e Toto si sono buttati in interventi veramente impressionanti, come quando hanno rimosso dalla coscia di un uomo una massa enorme, dal peso di 15 kg. Nessuno degli altri ospedali aveva voluto rischiare, ma loro hanno avuto di mira il bene del malato che ormai non riusciva piu’ neppure a mettersi i pantaloni, tant’ era grosso quel bestione che speriamo benigno.
Oggi poi sono molto contento con me stesso per un altro atto di coraggio.


Il figlio di David, l’impresario che ha costruito la sala operatoria, aveva una massa solida in epigastrio. In ecografia mi sembrava un grosso linfonodo paraortico, ed ho posto la diagnosi di possibile linfoma. La TAC addominale ha confermato le mie impressioni, ed anche le dimensioni della massa (circa 6 cm di diametro). Avrei voluto mandare il ragazzo direttamente a Nairobi per l’oncologo, ma suo papa’ ha insistito che facessimo qui almeno la biopsia. Essendo una massa profonda non mi sono fidato dell’agobiopsia che avrebbe potuto perforare delle anse intestinali. Ho fatto invece una laparatomia, ed ho trovato una formazione solida della parte antimesenterica del tenue. Mi e’ parsa benigna. Sono quindi riuscito a escinderla senza aprire l’intestino. Ho avuto tanta paura, perche’ normalmente le complicazioni sono in agguato quando operiamo amici, parenti e conoscenti... ma il Signore ci ha di nuovo sostenuti e “ci ha tenuto una mano sulla testa”, permettendoci un intervento pulito e senza problemi. 


Non sto piu’ nella pelle mentre aspetto il padre per dirgli che probabilmente l’operazione non e’ solo una biospia, ma una procedura radicale che portera’ il figlio alla guarigione.
Anche dopo la laparatomia ho pensato al Dalai Lama. Avrei potuto rifugiarmi nella paura, e forse nascondere cosi’ la mia vigliaccheria... invece, con un po’ di coraggio e temerarieta’, abbiamo pure oggi fatto del bene senza posticiparlo a domani.

Fr Beppe Gaido 
 

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ci sono solo due giorni all’anno in cui non puoi fare niente: uno si chiama ieri, l’altro si chiama domani, perciò oggi è il giorno giusto per amare, credere, fare e, principalmente, vivere.

Dalai Lama


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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