venerdì 8 giugno 2012

Street boys

Gli street boys in Kenya sono quasi una città a parte. Ragazzi di strada che vivono di espedienti, rubando, spacciando, chiedendo l'elemosina. 
Hanno tra i 6 e i 16 anni, sono soprattutto orfani o rifiutati dalle famiglie. Non hanno un posto dove dormire, né da mangiare. 
Sbadigliano mezzi addormentati ai bordi delle strade, sniffando colla per non sentire i crampi della fame e lanciandosi contro ogni auto che passa per chiedere qualche spicciolo o un po’ di cibo. 
Più diventano grandi più si trasformano in veri delinquenti. Ti assalgono armati di una siringa sporca o di una manciata di feci. 
L’Aids ancora una volta ha delle responsabilità enormi: falcidia la popolazione adulta, creando un numero sempre più elevato di orfani a cui nessuno pensa. Questi crescono in strada, in condizioni igieniche pietose e di squallida promiscuità. In questo modo loro stessi fanno aumentare il rischio di diffusione del virus. 
La novità di questi ultimi mesi è che gli street boys non sono più solo ragazzi. Tra di loro si vedono sempre più spesso anche bambine e ragazze. Questo sta portando ad un aumento terribile di stupri, gravidanze non volute, aborti illegali, con un incremento spaventoso della mortalità materna e del numero di neonati abbandonati appena partoriti. 
I centri che si occupano del recupero e della promozione umana di questi giovani sono pochissimi. 

Fr Beppe Gaido 

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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