venerdì 5 ottobre 2012

Imprudenze che si pagano

Molte volte ci capitano situazioni stressanti, in cui consigliamo alle donne il cesareo, ma loro rifiutano. Spesso irrazionalmente. Qualcuna dice di non poter decidere senza il marito, che però quasi sempre è distante chilometri e non ha un telefono con cui comunicare. 
Altre non accettano l’operazione perché nella loro cultura chi partorisce in questo modo è disprezzata e marchiata a vita. Altre ancora dicono no perché vogliono diverse gravidanze ravvicinate, e con il cesareo è impossibile. 
E poi ci sono quelle che ne hanno già fatto uno e non ci pensano neanche a farne un altro, anche se per loro non ci sono alternative. Spesso si finisce in sala operatoria di notte, quando lo staff è ridotto al minimo e la donna che prima rifiutava è lì ad implorare l’intervento perché non ce la fa più a sopportare il dolore. 
Quello che ore prima sarebbe stato un’operazione tranquilla diventa una procedura ad altissimo rischio. Ieri mattina mi è capitata questa cosa con una una mamma che aveva il bacino più stretto del diametro della testa del bambino. 
Aveva già fatto un cesareo e non solo non voleva farne un secondo, ma ha tentato di partorire a casa, senza il supporto di un medico. 
Il travaglio è andato avanti un giorno e una notte, poi, quando non ha più sentito il battito del feto, si è fatta portare in ospedale. Non riusciva nemmeno a stare in piedi. Le sue condizioni erano critiche, non era neanche possibile prenderle la pressione. 
L’eco ha confermato quello che ormai era chiaro a tutti: suo figlio era morto. Avrei voluto aspettare che lo espellesse naturalmente, ma le infermiere continuavano ad insistere che bisognava intervenire chirurgicamente, le sue condizioni erano troppo critiche. 
L’intervento è stato molto difficile. L’unica, magra, consolazione è che questa mamma così imprudente ha già quattro figli. 

Fr Beppe 
 

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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