E’ successo poco tempo
fa, ma ne avverto ancora il sapore amaro e pungente.
Ero molto stanco, e,
quando sono nuovamente stato svegliato per una emergenza, il mio umore era
piuttosto terreo ed irascibile.
Ho chiesto all’infermiera
che cosa ci fosse nuovamente, e lei mi ha rapidamente presentato il caso di una
giovane donna con due pregressi cesarei.
Mi sono quindi rassegnato
al fato, perche’ sapevo che non c’erano alternative. Due cicatrici pregresse
costituiscono infatti una indicazione assoluta al reintervento. Di li’ non si
puo’ scappare.
Ma fuori della sala parto
mi sono trovato di fronte il marito, che senza preamboli, mi ha chiesto di fare
una ecografia alla sua donna prima di entrare in sala.
La fatica, la tarda ora
notturna, la tensione e la mia natura umana piena di limiti hanno purtroppo
agito come una miscela esplosiva, e sulle mie labbra sono sbocciate parole
dure, che fluivano veloci come carrozze di un treno in corsa. Io mi rendevo
conto che stavo dicendo cattiverie, ma non riuscivo a fermarmi, anche se gia’
avvertivo l’amaro sapore del rimorso salirmi dalle viscere verso il cervello.
Ho comunicato a quell’uomo in malo modo che il medico ero io e che lui non
aveva il diritto di insegnarmi il mio lavoro; ero io quello che poteva decidere
se un’eco era necessaria, a meno che potesse provare di avere una laurea
equipollente alla mia. Non avrei voluto dire quelle cose, ma era come se mi
trovassi su una strada in discesa ripida, e la mia auto avesse rotto i freni.
I poveri sono abituati ad
essere umiliati da tutti, e quell’uomo si e’ ritirato con la coda tra le gambe.
Poi, prima di entrare in
sala, sua moglie, evidentemente scossa ed impauritra, mi ha domandato se almeno
questa volta il feto fosse vivo.
La sua affermazione mi ha
lasciato tramortito, come un fulmine che incida un tatuaggio indelebile nella
mia mente; mi sono quindi rivolto all’infermiera: “qual’e’ la storia di questa
paziente?”
“E’ stata cesarizzata due
volte, ma entrambi i bambini sono morti all’eta’ di circa un anno a causa di
polmoniti severe”.
“Vuoi dire che non hanno
figli?”
Lei ha annuito in
silenzio.
Mi sono sentito un verme.
Perche’ sono stato tanto presuntuoso da umiliare quell’uomo senza neppure
verificare le ragioni della sua apprensione?
“Speriamo che non sia
andato via, e che stia aspettando fuori”.
Mentre stavamo preparando
la malata per l’ecografia precedentemente richiesta dal marito, mi e’ stato
riferito che la gravidanza non era completamente a termine, ma che la pressione
arteriosa della mamma era altissima.
“Questa e’ una di quelle
situazioni tremende in cui si rischia di sbagliare comunque… ho gia’ fatto
degli errori imperdonabili con quel papa’… e se adesso non fossi capace di
salvare il suo bambino? Meno male che la malata non mi
ha sentito altercare con lo sposo!”
Ho eseguito l’ecografia con grande
attenzione, ed il risutato e’ stato di quelli che non ti tolgono il margine di
dubbio… o la possibilita’ di errore. Secondo la mamma, mancava ancora un paio
di settimane alla ‘data estimata’ del parto. Secondo gli ultrasuoni, il bambino
sembrava grosso abbastanza per poter sopravvivere.
“Cosa decidere? Aspettiamo fino a termine
per evitare una eventuale immaturita’ polmonare ed una insufficienza
respiratoria? Ma se facciamo cosi’, siamo sicuri che la pressione altissima non
uccida il feto ancor prima di nascere… magari stanotte stessa? Questa coppia ha
gia’ sofferto tanto! E se la mia decisione portasse ad un nato-morto?”
Dopo qualche indecisione e’ prevalsa in me
la linea interventistica.
“Dobbiamo agire e tirar fuori quel bambino
che ora ha un battito cardiaco perfetto, prima che l’ipertensione arteriosa
causi il disastro”.
Mi sono precipitato fuori, con la paura che
quello sposo si fosse offeso e se ne fosse andato completamente. Ho
scandagliato la sala di attesa, ma non l’ho visto. Quando ormai mi stavo
disperando a causa della mia presuntuosa stupidita’, me lo son visto spuntare
da dietro una siepe. Era calmo e gentile… come se non fosse successo nulla.
Gli ho spiegato i mei dubbi, ed anche i
rischi che ognuna delle due opzioni comportavano. Lui e’ stato risoluto nel
sostenermi nella decisione verso l’operazione, ed e’ stato poi bravissimo
quando l’ho fatto parlare con la moglie. E’ riuscito a convincerla e a farla
entrare in sala senza troppe remore.
Certo Doreen aveva una paura palpabile.
Subito dopo la ‘spinale’, quando l’ho vista tremare come una foglia e le ho
messo una pesante coperta di lana sulle spalle e sul torace, lei mi ha
confidato con una punta di facezia: “tremo, ma e’ solo perche’ sono terrorizzata…
non ho freddo!”
Poi la mano di Dio e’ stata con noi e ci ha
guidati. Doreen ha continuato a pregare a bassa voce durante tutta l’operazione
che e’ fluita liscia come l’olio.
Il maschietto di 2600 grammi ha pianto
subito come un forsennato, ed ha fatto la pipi’ a testa in giu’, mentre lo
sostenevo per le gambe e lo passavo all’assistente.
E’ stata una festa in sala operatoria.
Evanjeline, la nostra infermiera, si e’ messa a danzare in segno di gioia;
Doreen ha cantata inni al Signore, e ci ha fatto da impianto di filodiffusione
sino all’ultimo punto sulla cute.
La festa si e’ quindi estesa anche allo
sposo, che si e’ messo a saltare e a fare capriole quando gli ho fatto vedere
il pupo in incubatrice. Mi ha abbracciato, dimenticando e perdonandomi in
quello stesso istante, e mi ha detto: “Doctor, dopo un tempo, ne deve venire un
altro. Questa volta sento che Dio non ci togliera’ nostro figlio…
grazie…grazie!”
Guardando l’ora e vedendo che erano le 2.30
del mattino, mi sono sentito un po’ svuotato e distrutto, ma anche molto
contento. Quasi non ci credevo io stesso che fosse andato tutto bene, e sono
ritornato da solo all’incubatrice per sincerarmi delle condizioni del pupo.
Poi l’eccitazione e’ passata e mi sono
avviato verso camera mia. Mi e’ ritornato quel sapore salato del rimorso per
come avevo inveito contro quel papa’ senza sincerarmi prima delle sue
condizioni emotive e delle sue reali paure.
Meno male che non se n’e’ andato!
E’ una grave responsabilita’ davanti a Dio
quella di umiliare i poveri.
Per loro il medico e’ un semidio, e di
fronte a lui non osano neppure tentare di spiegare le loro ragioni. Non hanno i
mezzi culturali per controbattere, neppure quando il dottore ha torto.
Io in effetti ho ricevuto da Dio assai di
piu’ di molti di loro. Provengo da una famiglia relativamente agiata, ed e’ per
questo che ho potuto studiare. La cultura che ho e’ un dono del Signore. Se
fossi nato in uno slum di Nairobi o di Calcutta, forse non sarei un medico.
Che diritto ho io dunque di zittire una
persona che e’ stata meno benedetta di me dalla vita e dalla sorte?
Prima di mettermi sotto le coperte ho
quindi recitato una preghiera in cui ho chiesto a Dio di perdonare la mia
leggerezza e la mia superficialita’.
PS: con gioia abbiamo riaccolto a Chaaria
il nostro superiore Fr Roberto Trappa, dopo un mese di permanenza in Italia,
dove era stato chiamato per important incarichi legati al suo ruolo di
consigliere generale. Gli diamo il benvenuto e siamo molto contenti che sia
nuovamente tra di noi.
Fr Beppe Gaido
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