mercoledì 7 novembre 2012

Silvia



Oggi alle ore 14 ci ha lasciati Silvia, dottoressa pneumologa di Novi Ligure.
Anche Silvia e’ una veterana di Chaaria, essendo stata da noi la prima volta nel 2004, subito dopo essersi laureata.  Questo ritorno, dopo otto anni, le ha dato la possibilita’ di dare il massimo di se stessa nel reparto di Medicina. Ha collaborato benissimo sia con Jona che con Anderson, rendendosi utile sia nel reparto uomini, sia in quello delle donne come anche in ambulatorio.
Mi piace ricordare che Silvia, insieme ad Alex, fu nel 2004 la promotrice di una delle varie magliette pro-Chaaria, che erano state vendute e da cui avevamo ricavato un bel gruzzoletto.

Silvia e’ stata a Chaaria completamente da sola: infatti non c’erano con lei altri volontari. Era tanto che non capitava un buco del genere! Ma  e’ stata anche fortissima: non ha sofferto di malinconia; si e’ invece buttata a capofitto nel servizio degli ammalati. Siamo stati sempre insieme invece nei momenti dei pasti.
Silvia e’ anche venuta a Chaaria nella stagione delle piogge, per cui non c’e’ stata alcuna possibilita’ di organizzarle delle gite: la sua e’ stata una “full immersion” globale in Chaaria e nella sua vita, anche durante il week end... ed ho veramente apprezzato la sua presenza in reparto, pure di domenica pomeriggio.
La ringraziamo anche per averci donato il suo sangue l’ultimo giorno.
Il piccolo batik di foglie di banana che le abbiamo ragalato ieri sera, non riesce certamente a ripagare tutto quello che lei ha fatto per noi, ma sappiamo che possiamo contare sul Signore che, come ci dice il Vangelo, non dimentica neppure un solo bicchier d’acqua dato per amore.
Spero comunque che da oggi alla prossima volta in cui ci rivedremo a Chaaria non passino altri otto anni!

Fr Beppe Gaido

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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