venerdì 2 novembre 2012

Situazioni Estreme


Ann e’ gravida di 34 settimane.
Ieri mattina era cosi’ arrabbiata con il marito che ha deciso di tentare il suicidio ingerendo una notevole quantita di anticriptogamici.
E’ stata portata in ospedale in condizioni critiche: il primo lavoro e’ stato quindi quello di stabilizzare le sue condizioni generali con una lavanda gastrica, con dei farmaci chelanti il veleno e con tutti i supporti di rianimazione a nostra disposizione.
Ma e’ impossibile rimuovere tutto il tossico: qualcosa sicuramente e’ gia’ stato assorbito, se non altro nel tempo che intercorre tra l’assunzione e l’arrivo in ospedale.
Infatti, il battito fetale, per alcune ore perfetto, ha cominciato a far registrare inquietanti decelerazioni. La donna, dal canto suo, rimaneva confusa e piuttosto irrequieta.
Si imponeva una decisione: lasciamo che il veleno passi la barriera placentare ed uccida il feto? Oppure tentiamo un cesareo su una mamma in condizioni precarie e su un bimbo non completamente a termine?
Parlare con la donna e’ stato impossibile perche’ totalmente disorientata. Contattare i parenti e’ risultato egualmente impraticabile perche’ non ci avevano lasciato alcun numero di telefono.
La decisione e’ stata quindi concordata tra me ed Ogembo. Abbiamo praticato una dose di bentelan alla mamma per favorire ulteriomente la maturazione polmonare del piccolo... e siamo entrati in sala.
Jesse e’ stato bravissimo ed e’ riuscito a fare la spinale ad una paziente che si muoveva come un serpente.
Il cesareo e’ andato bene ed il bimbo, seppur un po’ pretermine, dava ampi segni di voler sopravvivere a tutti i costi.
Oggi, con grande gioia possiamo constatare che la donna sta molto meglio ed e’ pienamente cosciente, mentre il bambino non ha problemi e succhia vigorosamente al seno.
L’istinto materno ha prevalso sulle idee suicidarie ed oggi la mamma e’ serena con il suo piccolino.
Ringraziamo il Signore anche di questo successo e di questo piccolo incoraggiamento nella nostra vita ospedaliera di tutti i giorni.

Fr Beppe Gaido

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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