In questi giorni mi risuona nella testa la
melodia di una vecchia canzone che cantavo attorno al falo’ con i miei amici
negli anni spensierati del liceo.
E’ di Edoardo Bennato.
La musica me la ricordo benissimo… le
parole, forse un po’ a senso, suonano piu’ o meno cosi’: “un giorno credi di
esser giusto, e di essere un grande uomo; in un altro ti svegli e devi
cominciare da zero”.
Piu’ avanti la canzone dice inoltre piu’ o
meno: “…fatti forza e va’ incontro al tuo giorno; non tornar sui tuoi soliti
passi: basterebbe un istante!”
Indubbiamente in questi giorni tendo alla
malinconia ed alla depressione, forse a motivo del superlavoro o della
deprivazione di sonno (nell’ultima settimana le chiamate notturne per cesareo
sono state insistenti), ed e’ chiaro che e’ probabilmente il mio stato d’animo
ad aver riportato a galla tale canzone.
E’ vero che a volte ho la tentazione di
sentirmi un grande uomo, magari quando un intervento va bene (soprattutto nel
nuovissimo campo dell’ortopedia), oppure quando vedo l’ospedale pienissimo e la
gente andar via contenta.
Ma sono solo degli attimi, dei flash in cui
quasi ho paura di sentirmi soddisfatto perche’ lo so per esperienza che tali
momenti di pienezza sono effimeri e preparano il terreno per un tonfo normalmente
piu’ doloroso.
E’ molto piu’ frequente per me sentirmi con
le batterie scariche e con un filo di scoraggiamento che mi attanaglia la gola:
puo’ essere un paziente che e’ morto malgrado i miei sforzi, oppure
un’operazione non andata come speravo.
A volte poi la causa della mia depressione
sono io stesso: quando l’emotivita’ prende il sopravvento e non riesco a
controllarmi; quando sono troppo nervoso con i collaboratori o con i pazienti.
Ma anche queste situazioni mi sono utili:
mi ricordano quanto limitato io sia e mi salvano dalla tentazione della
superbia. Da anni poi il Signore mi ha fatto dono di uno spiccatissimo senso di
colpa che avverto anche fisicamente come una mano che mi attanaglia lo stomaco:
questo sentire mi porta in genere assai rapidamente ad andare dalle persone che
posso aver offeso ed a chiedere apertamente perdono. Lo faccio anche con i
malati.
Riguardo alla depressione ed allo
scoraggiamento che a volte mi assalgono per la morte di un paziente o per
qualcosa andato storto, davvero assumo sempre un atteggiamento simile a quello
che Bennato descrive.
Cerco di scrollarmi, di non piangermi addosso, di farmi
forza e di andare avanti ricominciando sempre da zero. Lo so che in medicina
ogni sbaglio, reale o solo percepito, ha la forza di paralizzarti: ecco perche’
in genere mi faccio forza, opero subito ed ancora di piu’, non mi piango
addosso, consapevole che e’ un po’ come dopo un incidente stradale: se smetti
di guidare, poi non ricominci piu’. Lo penso sempre: se smetto di operare, poi
mi paralizzo e non aiuto piu’ nessuno.
Per cui e’ proprio vero: un giorno credo di
essere un giusto, ma subito dopo avverto che sono a terra e devo ricominciare
da zero. Fortunatamente finora il Signore mi ha sempre dato la forza di farlo:
ricominciare e’ un obbligo morale per il bene di chi ha ancora bisogno delle
mie mani e del mio cervello.
Oggi mi sono un po’ confessato.
Grazie per avermi letto con pazienza.
Fr Beppe