lunedì 15 aprile 2013

Non era un laparocele

Jusufu era stato riferito al nostro ospedale da un dispensario molto lontano per quello che gli infermieri di tale struttura avevano definito uno sventramento.

Gia’ alla prima visita la diagnosi mi era parsa improbabile: si trattava di un’enorme massa tondeggiante al di sotto dell’ombelico, sulla linea mediana. Non vedevo anse disegnate sotto la cute, e la massa mi appariva tonica e ben delimitata. Piu’ che a un laparocele – tra l’altro non c’era una storia di intervento chirurgico precedente – ho pensato ad un’ernia della linea alba.

Anche questa ipotesi mi sembrava comunque piuttosto improbabile a motivo del fatto che tali ernie sono normalmente molto piu’ piccole.

Dalla storia clinica fornita dal paziente, pare che la massa sia cresciuta poco per volta ma in modo costante. Inoltre non e’ mai stata particolarmente dolorosa.

Ho fatto l’ecografia e mi sono convinto che si trattasse di un lipoma extrafasciale della parete addominale.






Con una certa paura e con qualche dubbio, ho quindi deciso di dire di si’ per l’intervento.

Siamo partiti con una spinale alta, ed ho detto a Pasqualina che, in caso di sorprese, avremmo dovuto essere pronti ad intubare il paziente ed a generalizzare l’anestesia.

Ho deciso per una incisione a losanga della cute – che comunque sarebbe stata sovrabbondante – ed ho cercato di raggiungere la fascia  lateralmente alla linea mediana.

Effettivamente sembrava un lipoma, molto aderente sia alla cute che all’aponeurosi dei muscoli addominali. Ho scollato da tutti i lati, lasciando per ultima la parte centrale, perche’ ancora temevo un’ernia dietro alla massa lipomatosa. Mi sono pero’ accorto che l’ernia non c’era e che la fascia era integra. C’erano molte arterie perforanti attraverso la fascia: una di esse mi ha dato problemi perche’ non ha smesso di sanguinare quando l’ho coagulata e si e’ ritirata nel tessuto sottofasciale. Tale complicazione mi ha obbigato ad aprire l’aponevrosi ed a cercare il moncone vascolare sanguinante: sono stati momenti abbastanza tesi, ma ci siamo riusciti.

Abbiamo desiso di lasciare un drenaggio sottocutaneo per alcuni giorni, a motivo dell’ampia superficie di scollamento. La sutura della cute ha posto qualche difficolta’ a motivo dell’ampia area che abbiam dovuto sacrificare; ci siamo comunque riusciti senza troppi problemi.

Il paziente non ha avuto complicazioni, ed oggi e’ andato a casa in quarta giornata post-operatoria.



Fr Beppe 



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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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