domenica 28 aprile 2013

Pensieri a distanza



Ciao Beppe,
non mi sono mai fatta sentire un po' per le mie grosse lacune tecnologiche ma soprattutto per il malessere che avevo dopo essere tornata a casa da Chaaria e aver cominciato un'esperienza lavorativa in un  ospedale italiano. 
Quanti sprechi, quanti farmaci buttati per la sola pigrizia di doverli mettere al loro posto in ordine alfabetico, quante garze aperte per niente e buttate, quante medicazioni sprecate, luci accese giorno e notte, sacche di sangue gettate perchè non conservate correttamente... e la lista sarebbe lunghissima. 
Quello che però mi fa vergognare, che è anche il motivo del mio silenzio, è che ho resistito e combattuto contro tutto questo per i primi mesi, poi però mi sono fatta inglobare da questo sistema e così senza accorgermene mi sono ritrovata a comportarmi nello stesso modo che tanto disprezzavo.





E pensare a voi che siete artisti nell'inventarvi con quello che avete, nel risparmiare il materiale, nell'usare tutto con parsimonia senza sprecare e anzi arrancare qualche volta per salvare un bimbo, una gravida o chiunque sia... Mi viene da piangere e mi sento in colpa perchè non sto facendo grossi sforzi per cambiare le cose.
Chaaria e tutto ciò che vi ruota attorno è stata un'esperienza indimenticabile che condizionerà in positivo per  sempre la mia vita!
Grazie mille per tutto!!!
Ciao Beppe, un abbraccio grande!!

Giulia

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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