martedì 4 giugno 2013

Confidare nella Divina Provvidenza

Per ragioni she sfuggono alla mia comprensione spesso vedo Chaaria tagliata fuori da moltissimi progetti di aiuto e di collaborazione internazionale.
Da anni scrivo progetti che mando un po’ dovunque per avere uno sponsor che mi paghi lo stipendio di qualcuno del personale. So che questo è possibile perchè avviene in tante altre organizzazioni e missioni. Ma Chaaria non è mai stata presa in considerazione per questo tipo di aiuto.
Lo stesso si può applicare per grandi appalti di costruzione in cui stranamente i progetti ci hanno come girato attorno, ma niente è stato stanziato per il Cottolengo Mission Hospital.
Gli esempi sarebbero moltissimi: scriviamo progetti e proposte, perdiamo un sacco di tempo in questi lavori burocratici, e poi non riceviamo neppure una risposta di rifiuto: semplicemente non avviene nulla.
So di una organizzazione che ha distribuito pannelli solari a strutture a noi vicine, ma a noi che spesso siamo senza luce non è stato proposto nulla.
A volte mi scoraggio e mi domando perchè!





Ma la risposta mi è venuta proprio quando lo scoramento mi portava a gettare la spugna, proprio quando dicevo a me stesso che Chaaria pare dimenticata dai grandi organismi finanziatori dei Paesi in via di sviluppo.
Ieri sera alle 22.30, dopo una estenuante giornata di lavoro in cui abbiamo servito ed operato un numero estremamente alto di persone, facevo l’ultimo giro dei malati insieme a Giulia: i reparti erano strapieni, con due pazienti per letto.
Nessuno mi ha parlato o ha dato delle risposte, ma è lì in reparto che ho trovato la mia consolazione. Forse Chaaria è troppo rurale e periferica per attirare l’attenzione dei grandi donatori, ma la povera gente sa che ci siamo e si fida di noi. Siamo stracolmi di clienti e sovente ci pare di non riuscire a far fronte alle richieste della gente.
Questa penso sia la risposta della Divina Provvidenza, e questo mi pare l’incoraggiamento di cui abbiamo bisogno ogni giorno per tirare avanti: la gente ci apprezza e si fida di noi.
L’ospedale magari non è il più bello del circondario: abbiamo cameroni stracolmi in cui non c’è neppure lo spazio per un comodino, ma ciononostante i malati ci sono... e guariscono!
Finchè siamo pieni non temo nulla, perchè vuol dire che il Signore è contento di noi. E, se Dio ci manda gli ammalati, ci manderà anche i mezzi per servirli. La mia vera crisi inizierà quando Chaaria dovesse essere vuota: se non riuscissimo più a riempire i letti, se la gente non ci cercasse più per le loro necessità di salute, questo sarebbe il segnale chiaro di Dio per dirci che siamo fuori strada o che la nostra missione è finita.
D’altra parte il Cottolengo ci diceva sempre che dobbiamo contare sulla Provvidenza Divina e non su quella umana.
Certo, ci rimango sempre un po’ male quando faccio un progetto e poi non ne nasce nulla o quando altri ospedali missionari ricevono e noi no, ma poi penso che Chaaria appartiene alla Divina Provvidenza e quindi sopravviverà con o senza donazioni internazionali.
Io credo che l’importante sia dare tutto senza risparmiarci; spenderci fino al sacrificio della vita... e poi avere confidenza che il Signore farà il resto.
Mi piace concludere questo post in modo un più laico, citando Gloria Gaynor, una cantante americana che in questi giorni accompagna molte delle nostre operazioni in sala. Con l’artista anche io credo che “We will survive!”


Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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