sabato 8 giugno 2013

Senza nome

Abbiamo un nuovo orfanello a Chaaria.
E’ un maschietto pretermine che ancora non ha raggiunto i due chilogrammi di peso corporeo.  E’ orfano solo di mamma, mentre il babbo è presente, ma ci ha chiesto di tenere suo figlio qui con noi finchè sarà più grandicello.
E’ una storia molto triste.
La sua mamma ha partorito normalmente circa due settimane orsono in un’altra struttura.
Dopo alcuni giorni però è stata ricoverata nel nostro ospedale con una sintomatologia tipica per scompenso cardiaco: non riuscica a respirare, aveva le gambe gonfie ed appariva cianotica. Era fredda e la sua pressione era imprendibile.
Le nostre indagini hanno confermato che la mamma aveva dei difetti cardiaci valvolari ed era completamente scompensata. L’ecocardio ha dimostrato un cuore praticamente fermo ed estremamente dilatato. La sua pressione arteriosa era zero e la donna era continuamente madida di sudore gelato.




 

L’abbiamo messa immediatamente in terapia antiscompenso, ma le sue condizioni sono rimaste gravissime per due giorni. Alla fine abbiamo anche tentato di “tenere” il suo circolo con della dopamina in vena, ma la paziente ci ha lasciati: aveva solo 22 anni.
Naturalmente la notizia della morte ha devastato il marito, che ci ha implorato di tenere il suo bimbo finchè lui sarà in grado di venirselo a riprendere.
Era così disperato che non ci ha neppure dato indicazioni su come chiamare suo figlio, che quindi per ora è senza nome.
Adesso il nostro orfanello è ancora in incubatrice, e lo stiamo nutrendo con del latte in polvere ogni due ore. Al momento non ha problemi e si alimenta regolarmente. Anche con lui cercheremo di fare del nostro meglio per farlo crescere bene fino al momento in cui potrà riunirsi nuovamente con il suo papà.


Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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