venerdì 7 giugno 2013

L'impianto centralizzato dell'ossigeno

Di cuore ringrazio Fr Giancarlo ed il team della manutenzione per il lavoro che stanno facendo con la messa in posa del sistema centralizzato per l’ossigenoterapia.

L’ossigeno è sempre stato uno dei problemi di Chaaria, sia perchè spesso non lo si trova neppure a Meru, sia perchè a volte c’è un po’ di non curanza da parte dello staff e gli erogatori vengono dimenticati aperti anche quando non serve, sia soprattutto perchè gli erogatori che usavamo per le bombole spesso e volentieri erano rotti.
Riparare un erogatore dell’ossigeno è sempre stato molto costoso, per non parlare del comprarne uno nuovo.
Le continue rotture di questi delicati strumenti e lo spreco di ossigeno che a volte derivava da erogatori con perdite e falle, ci ha portato a pensare alla soluzione che vedete nella foto. 
In questo modo non dovrebbe più esserci il problema di un infermiere che si cimenta nel cambiare l'erogatore da una bombola vuota ad una piena... momento fatidico sia per i guasti che per gli sfiati di ossigeno da un regolatore non ben avvitato. 
Gli infermieri devono solo collegare la mascherina dell'ossigeno al distributore che è fisso sul muro.





Non è un lavoro finito, in quanto per ora l'impianto è stato ultimato solo su una parete del camerone delle donne. 
Dovremo adesso iniziare il lavoro per il camerone degli uomini. 
Per la pediatria invece vorremmo aspettare la ristrutturazione, visto che si sono dei progetti in quel senso. Per i bambini per ora ricorriamo ancora alle bombole, con tutte le problematiche sopra citate.
Anche questo è un piccolo passo avanti strutturale per il nostro ospedale, che cammina e si sviluppa con un passo da tartarura: lento se vogliamo, ma costante nel tempo.

Fr Beppe




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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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