giovedì 6 giugno 2013

Antony

E’ un bambino di otto anni a cui avevo fatto una riduzione interna di frattura omero sinistro  in corrispondenza della diafisi distale. Avevo usato dei fili di Kirschner, con l’intenzione di toglierli dopo un mese, in quanto in un bambino si cerca di toccare il meno possibile la cartilagine di accrescimento.
La lastra di controllo è stata confortante, in quanto la riduzione della frattura era perfetta ed il callo osseo buono. Abbiamo quindi tolto la doccia gessata per procedere alla rimozione chirurgica dei fili di Kirschner.
Con una certa sorpresa abbiamo però constatato che c’era una paralisi del nervo radiale. La paura di Luciano è stata di una sezione del nervo radiale stesso o nel momento della frattura, oppure anche come incidente operatorio (cioè se io lo avessi inciso involontariamente aprendo la breccia operatoria).
Il team ortopedico-plastico era pronto per un innesto di nervo, che nel bambino dà buone speranze di attecchire e di riprendere a condurre.





Io ero molto preccupato ed un po’ in colpa, anche se moralmente quasi certo che, se avessi dato un colpo di bisturi ad una struttura così grossa come il nervo radiale, me ne sarei per lo meno accorto.
Antony è stato intubato ed addormentato.
Luciano, Toto ed Erika hanno isolato pian piano il radiale sul suo percorso e fortunatamente lo hanno trovato illeso: non era stato tranciato nè dalla frattura nè tantomeno da un mio possibile errore chirurgico. Si trattava solo di aderenze che imprigionavano il nervo nel suo passaggio sul gomito, e ne bloccavano la funzione.
Con pazienza le aderenze sono state lisate ed il nervo liberato completamente.
E’ stato un bell’intervento di microchirurgia!
A questo punto sono stati tolti i fili di Kirschner e si è richiusa la ferita operatoria.
Il paziente potrà cominciare la fisioterapia, con ottime speranze di ripresa funzionale completa.


Fr Beppe Gaido



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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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