domenica 21 luglio 2013

Fundraising o Harambee

Oggi pomeriggio sono stato alla Chiesa Metodista di Chaaria dove c’era la Harambee, o Maketha in Kimeru, perche’ il Dr Ogembo manda due figli a studiare all'estero, ma non ha abbastanza soldi.
Perdere l’occasione sarebbe stato un peccato perche’ e’ cosi’ difficile entrarvi, ma anche iscriversi senza sicurezze economiche di poter finire sarebbe stato gravemente imprudente.
Ecco perche’ hanno organizzato la HARAMBEE.
Si tratta di una festa popolare, in cui ci sono musiche e canti. Quando arrivi, qualcuno ti accoglie con una brocca di acqua calda per farti lavare le mani; poi ti viene offerto il pranzo, e quindi ti siedi tranquillamente nel cortile dove la famiglia ha organizzato la funzione, parlando con gli altri membri del villaggio che sono intervenuti numerosissimi.
Dopo un po’ di tempo il coordinatore della festa (master of ceremony), usando un microfono collegato a dei grossi amplificatori presi a prestito e collegati ad un piccolo generatore, comincia la Maketha vera e propria: ci sono beni in natura che vengono venduti all’asta.
Ogni singolo prodotto (puo’ essere una gallina, una canna da zucchero, frutta o uova) e’ presentato all’assemblea con un prezzo di base simbolico. 



A questo punto inizia la gara di solidarieta. I presenti cominciano ad alzare il prezzo fino a quando non si trova un nuovo acquirente: a questo punto, con solennita’ il master of ceremony conta fino a 3 e poi aggiudica l’oggetto in questione a chi ha offerto di piu’.
La cosa continua per molte ore: la gente si diverte e sorride.
Partecipano in tanti; si scherzo insieme. E’ davvero una festa di villaggio. Anche i poverissimi, riconoscibili dai miseri vestiti e a volte dalla assenza di calzature, vogliono contribuire con i pochi scellini a loro disposizione. I bambini poi sono i signori della festa: si rincorrono qua e la’, ridono e danzano; mangiano frutta e si divertono a ripetere le azioni dei grandi.
Alla fine della festa, prima della preghiera conclusiva, ognuno si presenta personalmente alle persone che hanno organizzato l’Harambee, e consegna, in busta chiusa, quanto aveva deciso di dare.

L’Harambee e’ un concetto molto profondo, ed anche semplice nello stesso tempo: si parte dalla considerazione che tutti, prima o poi, possono essere nel bisogno. Oggi sono io ad avere un problema: puo’ essere un ricovero ospedaliero, un intervento chirurgico o un corso di studi da pagare come nel caso di oggi a Chaaria. 
Domani sara’ il mio vicino ad essere nelle stesse condizioni. E’ quindi naturale che io aiuti i miei compaesani nella necessita’, perche’ se oggi lo faccio io, posso essere sicuro che domani loro faranno altrettanto quando le difficolta’ arriveranno a casa mia. 
Questo e’ davvero un bel concetto di solidarieta’ tra poveri, e noi Europei dobbiamo imparare molto da loro. Io per esempio non l’ho mai visto fare in Italia!
L’Harambee si basa poi su un’altra idea forza che a me piace moltissimo e che potremmo sintetizzare come: “l’unita’ fa la forza!”.
Infatti, anche se ognuno puo’ contribuire solo pochi scellini, ma tutti partecipano generosamente e massivamente, alla fine della giornata si raccolgono cifre impensate di denaro. E’ come una circolazione di ricchezza che la popolazione mette collettivamente a disposizione di un membro in un momento particolare della sua vita, sicura che poi il favore verra’ restituito a tempo debito.
Che bella questa idea, che dovremmo esportare anche in Italia.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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