lunedì 15 luglio 2013

Un ascesso di Brodie

L’acronimo usato per la patologia che oggi presento ai lettori deriva da Sir Benjamin Collins Brodie, un chirurgo londinese nato nel 1783.
Con tale termine si definisce un ascesso cronico dell’osso, che può andare incontro a periodiche riacutizzazioni. E’ sostenuto da una osteomielite cronica, normalmente stafilococcica, e spesso si manifesta anche all’esterno con una fistola purulenta senza tendenza alla guarigione.
La lastra presentata oggi si riferisce ad un ascesso di Brodie del femore destro di una ragazza di 16 anni, la quale ha avuto una fistola cronica negli ultimi due anni.
Il nostro lavoro è stato quello di eseguire una fistulectomia, seguendone il tragitto fino alla sua origine sulla diafisi distale del femore. 
Tra periostio e muscolo abbiamo reperito una ingente quantità di pus cremoso che abbiamo drenato all’esterno.
Abbiamo anche identificato un foro nella corticale della diafisi da cui il pus cronicamente proveniva. Abbiamo curettato quella zona osteolitica; in seguito,con il trapano elettrico, abbiamo eseguito alcune trapanazioni ossee in corrispondenza dell’area in cui la lastra dimostrava la presenza dell’ascesso. Anche la trapanazione è risultata in abbondante fuoriuscita di pus.
Abbiamo quindi chiuso la breccia operatoria solo parzialmente ed abbiamo medicato con due garze betadinate all’interno.





Abbiamo fiducia che l’evacuazione della raccolta extraossea e la via di uscita al pus intraosseo offerta dalla trapanazione, dia alla giovane ragazza una prognosi favorevole per la guarigione.
La medicheremo quotidianamente con garze betadinate all’inerno della ferita, aspettando che la ricrescita venga dal fondo.
Naturalmente la paziente è coperta con antibiotici ad ampio spettro.


Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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