martedì 16 luglio 2013

Il buon samaritano

Mi ha aiutato tantissimo domenica scorsa la lettura del Vangelo.
Mi sono sentito nei panni di quella persona che chiedeva a Gesù: “che cosa devo fare per ereditare il Regno dei Cieli?”
E’ infatti per me un momento un po’ buio, in cui tanti elementi tradizionali della religiosità mi lasciano perplesso. Alcune cose che in passato hanno costituito idee forza e pietre milari della mia spiritualità stanno un po’ vacillando e perdendo di significato.
Quello che mi sta devastando ultimamente è il mistero della cattiveria umana: giudizi malvagi ed anatemi lanciati da persone che non ti danno possibilità di difesa perchè si nascondono nell’anomimato, calunnie, cattiverie pure. 
A volte, pensando alla mia vita che da mattino a sera mi vede impegnato a lavorare strenuamente per i malati, mi chiedo che cosa faccio di male agli altri per meritarmi certe cattiverie. E’ strano perchè io non ho il tempo materiale per fare del male agli altri... eppure queste cose capitano e si ripetono.



Anche la preghiera classica talvolta mi trova in crisi: spesso sono in ritardo rispetto agli orari della comunità; a volte salto l’ora di preghiera completamente; mi capita pure di non riuscire ad andare a Messa. Se poi riesco ad essere presente in cappella con gli altri e provo a fare meditazione sul Vangelo, sono così stanco ed arido interiormente, che leggo e rileggo la stessa pagina ma non ci cavo un ragno dal buco. 
Il rosario poi è diventato come una specie di sonnifero: è difficile che io riesca ad arrivare alla fine di una decina senza ciondolare e prendere sonno. Sono in ritardo anche per i pasti comunitari, anche se, quando ci sono, cerco di essere aperto al dialogo e gentile con tutti. Proprio per questo talvolta mi sento dire che l’ospedale mi sta tirando via dalla comunità!
Tutte cose che in qualche modo stanno scalfendo il mio cuore un po’ ferito e stanco.
Poi domenica, ascoltando il Vangelo, ho avuto come un raggio di luce e di speranza: la figura del buon samaritano mi ha come fulminato nuovamente. Non è il caso che ri ripeta la parabola perchè la conoscete tutti sicuramente.
Il sacerdote non si è fermato davanti a quel poveraccio che i briganti avevano lasciato a terra mezzo morto: non voleva certo arrivare in ritardo alla preghiera!
Il dottore della legge neppure si è fermato: chissà che impegni importanti aveva da svolgere, magari una conferenza proprio su quella legge di Dio di era maestro e che già aveva rotto trascurando un bisognoso.
Il samaritano invece si è fermato e si è preso cura del malcapitato. Aveva certamente anche lui degli impegni, se stava viaggiando da Gerusalemme a Gerico, ma li ha posticipati dando la priorità al servizio di carità. Per quella persona che lui neppure conosceva ha dato tutto: il suo tempo, le sue cose, il suo denaro speso nel pagare la locanda.
Questo mi fa pensare a tante situazioni di Chaaria in cui, pur con tutta la buona volontà, non riesco ad andare a pregare in orario, perchè arriva un’emergenza che mi cambia tutti i piani. Che senso avrebbe non prendersi cura di un malato che sta male semplicemente perchè è l’ora della preghiera? Come mi sentirei in cappella se posticipassi un cesareo per dare la precedenza all’adorazione, sapendo che poi più tardi potrebbe essere troppo tardi per mamma e bambino?
I giudei inoltre disprezzavano i samaritani: secondo loro essi erano gente corrotta ed impura nella fedetà alla legge mosaica. Però Gesù indica il Samaritano come esempio da seguire: “va’ ed anche tu fa’ lo stesso!”
E come se il Signore domenica mi dicesse: non preoccuparti di essere perfetto... tanto nessuno lo è; anche quelli che si credono di esserlo, si illudono amaramente. Preoccupati della tua fedeltà alla carità verso i poveri, fermati con chi ha bisogno, fa’ tutto quello che puoi per lui, donati fino al sacrificio della vita.
“Questo è il modo migliore per entrare nel Regno di Dio”, mi dice oggi Gesù... e le sue parole mi incoraggiano proprio quando mi sento a terra, e quando mi pare che la mia vita religiosa attuale sia un po’ un fallimento.


Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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