domenica 4 agosto 2013

Non riesce a camminare

E’ domenica pomeriggio e sono ancora in ospedale. Sento un vociare concitato nella sala d’aspetto e mi affaccio a guardare.

Silas sta ascoltando un conducente di mototaxi che parla in modo agitato: “vengo da Gatunga. Avevo una donna sulla moto. Doveva arrivare a Chaaria per il cesareo: così le era stato detto a Marimanti. 
Siamo arrivati a Makandune e la mamma ha rotto le acque sulla moto. Mi ha bagnato tutto, ma questo non è il problema principale. Il vero dramma è che ha cominciato con doglie così forti che non riesce più a tenersi e si contorce in tal modo che mi fa cadere dalla moto. Assolutamente non riesce a camminare. Per favore aiutateci perchè io ho lasciato quella donna stesa sul ciglio della strada”.
Io mi stringo nelle spalle in quanto sono completamente solo: Fr Robert è infatti andato a prendere Naomi a scuola in quanto ha nuovamente problemi con la carrozzina.
“Ci vengo io con una infermiera. Tu facci strada con la moto”.



Schiacciando sull’acceleratore siamo arrivati a Makandune in 20 minuti. Abbiamo trovato la paziente nel posto che ci era stato indicato. Era protetta da alcuni folti cespugli e già era circondata da un gruppo di donne che cercavano di aiutarla. 
L’abbiamo caricata in ambulanza con delicatezza e siamo corsi indietro verso Chaaria, dove
già Celina e Pasqualina stavano preparando la sala. L’indicazione al cesareo c’era davvero in quanto quella donna aveva già avuto tre pregressi cesarei ed il travaglio avrebbe potuto causare una rottura d’utero ad ogni istante. Il generoso conducente di mototaxi non ci ha naturalmente seguiti, e, da Makandune, si è diretto verso Gatunga: è stato bravo a non fregarsene ed a venire a chiedere l’ambulanza.
Il viaggio di ritorno è avvenuto alla stessa velocità, anche se la totale mancanza di altri veicoli non ha richiesto l’uso della sirena.
Che bella la strada che collega Chaaria a Makandune... erano secoli che non ci passavo; era la mia strada quando ancora avevo tempo per qualche clinica mobile a Gatunga ed a Mukothima. 
Negli anni non è cambiato nulla del suo fascino selvaggio.
In sala tutto bene: abbiamo estratto un bambinone di tre chili e seicento grammi; piangeva come un forsennato e non ha sofferto per niente nè per i chilometri in mototaxi, nè per quelli in una ambulanza in corsa sullo sterrato.
Una domenica di servizio, con molti parti, tre cesarei, altre due emergenze chirurgiche; una domenica in mezzo ai malati, ma anche immerso in una natura che sempre mi mozza il fiato e mi rasserena il cuore.

Fr Beppe




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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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