lunedì 19 agosto 2013

Padrino di altri tre bambini

Kunya è un nostro dipendente della shamba (settore agricolo). E’ una persona poverissima che abbiamo assunto per motivazioni soprattutto sociali, al fine di tentare di dargli un aiuto economico per sostentare la sua famiglia. 
La moglie di Kunya è una povera donna che non sa nè leggere nè scrivere. Come in tutti i casi di povertà estrema, essi hanno già quattro figli.
Il parroco conosce la situazione di povertà di questa famiglia, una povertà che non è solo economica ma anche legata al quoziente intellettuale. Cerca anche lui di aiutare questa famiglia con consigli e con supporto spirituale ed umano. 
Un dono che il parroco ha voluto fare a Kunya ed a sua moglie è stato quello del battesimo dei tre figli più piccoli. 
La primogenita è ormai grande e Father Ntoiti ha deciso di offrirle il catechismo e di prepararla a ricevere il battesimo degli adulti, unito alla prima comunione ed alla cresima.
Il problema di Kunya era che non trovava nessuno che volesse fare da padrino ai suoi figli, ed è perciò venuto ad implorare il sottoscritto. 



La sua richiesta mi ha sinceramente commosso ed ho deciso di accettare, anche se con qualche tensione legata ai miei orari di servizio domenicali: il battesimo era infatti programmato per ieri, durante la grande messa della parrocchia.

Io sono solo in ospedale alla domenica, e le mie preoccupazioni erano due: da una parte non avrei potuto  trattenermi tutto il tempo della celebrazione che normalmente inizia alle 11 e finisce alle 2 del pomeriggio; dall’altra temevo un cesareo urgente proprio nel momento in cui avrei dovuto essere in parrocchia come padrino.
Riguardo al primo problema il parroco mi ha tranquillizzato subito: siccome io avevo già partecipato alla Messa in ospedale, egli avrebbe mandato in chierichetto a chiamarmi quando la predica della celebrazione parrocchiale sarebbe volta al termine; in tal modo io sarei dovuto essere presente solo durante il rito del battesimo (non più di mezz’ora).
Per la seconda preoccupazione riguardante le emergenze, mi ha consigliato di abbandonarmi alla Provvidenza che avrebbe fatto in modo che l’ospedale fosse calmo durante il rito bettesimale.
E così è stato!
Tutto è andato benissimo. Il parroco ha mandato un ragazzo a cercarmi in ospedale; quando poi mi ha visto entrare in chiesa, il sacerdote ha chiuso rapidamente il pensiero che stava elaborando, ed abbiamo iniziato il rito del battesimo, al termine del quale mi ha congedato ufficialmente davanti ai fedeli; nessuna emergenza è avvenuta durante la mia permanenza in chiesa, anche se, appena messo piede in ambulatorio, mi hanno avvisato circa un’emorragia post-partum.
Non abbiamo fatto ricevimenti o feste per questo triplice battesimo, in quanto la cosa avrebbe messo a disagio Kunya e la sua famiglia, sia a causa della casa poverissima sia a motivo del fatto che probabilmente avrebbero avuto prolemi economici a comprare il cibo necessario ad un party.
I bambini sono comunque battezzati e sono parte della grande famiglia della Chiesa. Certamente questa è la cosa più bella e più importante: le feste dopo i battesimi sono in genere corollari inutili e costosi che nella giornata di ieri abbiamo cercato di evitare.


Fr Beppe Gaido








1 commento:

Anonimo ha detto...

leggo sempre con grande emozione questi post! ho scoperto questo blog per curiosità e mi sono trovata coinvolta in un "mondo" che non è di questo mondo, che non ragiona nei termini del nostro mondo e che credo che sia gìà un pezzetto del Regno dei Cieli il quale comincia già qui su questa terra: Voglio credere che sia così, che Gesù sia il nostro Inizio il nostro Tutto. Leggo questi post e penso che Dio è Grande...(patrizia)


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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