giovedì 26 settembre 2013

Trezzano sul Naviglio (Milano)

Non potevo dire di no a don Franco Colombini, parroco di Trezzano sul Naviglio, quando mi invitò per una serata di testimonianza presso il suo oratorio. Don Franco è infatti un amico che conosco da quando, nei primi anni ottanta, lui faceva volontariato nel reparto San Rocco del Cottolengo di Torino. Allora ero novizio e lavoravamo insieme a servizio dei pazienti malati di cancro terminale.
Don Franco è poi venuto a trovarmi a Chaaria dove ha prestato servizio di volontariato per un mese. Stare con lui in quei giorni è stata per me una esperienza profondamente spirituale.
Inoltre tutti gli anni egli organizza iniziative di solidarietà per Chaaria nella sua parrocchia, ed ha grandemente contribuito al suo sviluppo.
La serata è stata calda e molto partecipata da una comunità cristiana sensibile da tempo a Chaaria ed ai problemi del Terzo Mondo.
Trezzano è anche la città di Andrea Nanti, che è stato a Chaaria come volontario per un anno intero. A Chaaria erano venuti in quel periodo anche la mamma, la sorella ed il fratellino di Andrea, insieme ad un’altra loro amica di Trezzano. Alla serata erano presenti la sorella e le zie di fr Marco Rizzonato, ed è stato bello rivederle dopo tanti anni.
Anche là ho quindi trovato molto sostegno ed incoraggiamento per il nostro impegno a servizio dei poveri del Kenya.
Stasera sarà la volta di Pavia e domattina di una scuola di Carmagnola. Si tratta di un tour de force finale, che comunque voglio fare, nonostante la stanchezza perchè è giusto far sentire il nostro apprezzamento alle persone che ci vogliono bene e ci aiutano con tante generose offerte.


Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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