La giornata di ieri è stata tremenda, con interventi
chirurgici non-stop dalle 8 alle 20.
Pensavamo a quell’ora di aver più o meno concluso la
maratona quotidiana, ma alle 21.30 un’ambulanza ci ha portato ben due donne da cesarizzare:
arrivavano da Marimanti in Tharaka.
Questi due interventi ci hanno tenuti impegnati fin oltre la
mezzanotte.
Usciti di sala ci attendeva però una scena veramente
angosciante: un bambino di nove mesi in preda a continue convulsioni senza
febbre. L’infermiere già aveva fatto del valium, ma non c’era alcun segno di
miglioramento. Le condizioni respiratorie erano pessime: il piccolo aveva un
forte broncospasmo ed una inspirazione assolutamente difficoltosa. Il fonendoscopio
sul suo trace raccoglieva suoni inquietanti, simili al ribollimento di una
pentola a pressione.
Ho subito notato il braccio destro estremamente gonfio e
praticamente paralizzato. In corrispondenza dell’avambraccio c’era una piccola
escara nera.
Il bambino era troppo grave per sentire dolore, anche quando
schiacciavo vicino a quella ferita per vedere se ne fuoriusciva del liquido.
Ho guardato la mamma, ma, prima che potessi formulare la
domanda, essa mi ha detto che ha sentito il figlio piangere forte circa tre ore
prima, quando già erano a letto. Quasi immediatamente il piccolo ha cominciato
ad essere scosso da crisi comiziali incalzanti... ed era la prima volta in suo
figlio, diceva la donna disperata.
Dopo aver acceso la lampada a petrolio per assistere il
piccolo, la donna ha visto sul muro un grosso ragno nero e peloso come un topo.
Non era sicura che il pianto fosse dovuto al morso di quell’aracnide;
lei dormiva ed era buio... ma la bestia era tristemente nei paraggi. Con
l’aiuto del marito è riuscita a uccidere il ragno. Ha quindi cominciato a
guardare con attenzione il corpo del bimbo ed ha notato quasi immediatamente la
tumefazione e la feritina umida sull’avambraccio.
Da quel momento è stata una catena di eventi a precipizio.
Il bambino si è messo a vomitare, poi ha iniziato a presentare problemi
respiratori sempre più gravi.
Loro sono di Kiamuri, a 14 chilometri da Chaaria: sono
andati al dispensario delle suore, che però non si sono sentite di tenerlo ed
hanno consigliato ai genitori di venire da noi.
Trovare i soldi per chiamare un mototaxi ha causato
ulteriore ritardo, ed ecco che qui sono arrivati dopo la mezzanotte.
Il bambino era ormai in condizioni disperate. Praticamente
“gaspava”, ed il broncospasmo quasi impediva qualunque accesso dell’aria
ispiratoria. Il pulsi-ossimetro documentava una saturazione del 60% appena:
abbiamo quindi dato ossigeno con generosità.
Per le convusioni siamo riusciti alla fine ad avere la
meglio con del barbiturico endovenoso.
Abbiamo dato alte dosi di cortisone e di antibiotico nel
tentativo di contrastare il veleno.
I polmoni però non davano segno di miglioramento, anzi...
anche il coma fi faceva sempre più profondo.
L’attività respiratoria del piccolo paziente si è purtroppo arrestata
all’una e quarantacinque di notte, di fronte allo sguardo sgomento della mamma
che aveva messo a letto il bimbo quando ancora stava bene.
La donna era pietrificata dal dolore e non piangeva. Noi
eravamo distrutti e sconvolti dal modo in cui la nostra giornata terribile si
era conclusa.
Un bimbo di nove mesi portato via dal morso della tarantola:
non possiamo esserne sicuri al 100%, ma cos’altro potrebbe essere stato?
Che tristezza e che senso di smarrimento! Quando tali cose
si abbattono sui bambini, diventano ancor più crudeli. Questa morte ha come
cancellato il ricordo di tutte le persone che abbiamo aiutato in sala.
Siamo andati a letto mesti, pensando che ha ragione la nostra
gente a chiamare la tarantola “sette passi”.
Fr Beppe
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