E’ domenica e siamo quasi pronti per la Messa. Dico ai pazienti di avviarsi
verso la lavanderia, mentre aspettiamo l’arrivo del sacerdote. Un gruppo di
donne si avvia di fronte a me, ma una giovane ragazza collassa davanti ai miei
occhi.
La soccorriamo, la mettiamo sdraiata, ed iniziamo una flebo di soluzione
fisiologica per riprendere la sua pressione che era scesa a livelli
imprendibili. Mi dicono che ha avuto un aborto e che ha sanguinato tanto.
Mi
rendo conto che c’è bisogno urgente di sangue, ma in questo periodo proprio ne
siamo in grave carenza: il progetto governativo di banca del sangue a Embu e’
gia’ crollato, e si aspettano nuovi sponsor internazionali per farlo ripartire.
Io non posso aiutare la giovane che ha il sangue 0 positivo, in quanto il mio
gruppo e’ A. I volontari sono in gita in foresta e non mi possono aiutare.
C’e’
solo una ragazzina di 16 anni, sorella della malata che insiste per donare: io
resisto per un po’ perche’ e’ illegale prelevare sangue al di sotto dei 18
anni. Poi vedendo le condizioni della donna peggiorare, decido di accettare e
accompagno la volenterosa donatrice in laboratorio, dicendo ai nostri tecnici
di fare una eccezione, vista la gravità del caso.
Intanto mi avvio in sala operatoria (meno male che avevo partecipato alla
messa prefestiva con i buoni figli ieri sera): da Mukothima infatti era
arrivata una partoriente con distress fetale.
L’anestesista oggi e’ assente,
per cui ci dobbiamo aggiustare: gli unici sul campo siamo io, Makena e Gatwiri.
Come al solito in questi casi, devo fare sia l’anestesista che il chirurgo.
Pratico la spinale con successo, ma la mamma non collabora… dice sempre di aver
dolore e sostiene che l’anestetico “non e’ penetrato”. Resisto per un po’ e poi
mi arrendo: devo ripetere la puntura lombare, perchè forse ho iniettato la
medicina fuori dal canale vertebrale.
Anche dopo la seconda dose la donna asserisce di avere ancora male: questi
sono i casi in cui alla fine ci ritroviamo a gestire una gravissima
complicazione... c’è incomunicabilità tra noi e la malata che è così spaventata
dall’ipotesi di soffrire, che arriva a mentire sull’effetto anestetico: forse
pensa che si tratti di “una generale”, e quindi attende il momento
dell’addormentamento. Infatti, come prevedevo, mentre ancora mi sto lavando, la
mamma smette di respirare.
Devo accorrere e usare l’ambu per la respirazione
assistita. Non c’e’ tempo di aspettare: mentre Gatwiri mi aiuta con i farmaci
da praticare per la rianimazione, ed io continuo a pompare ossigeno in quei
polmoni paralizzati, Makena deve aprire la pancia, anche se non è un medico.
Come sempre, lei e’ bravissima: non si scompone, e pian piano estrae un bambino
con chiari segni di sofferenza asfittica, ma ancora vivo. Io nel frattempo sono
ancora impegnato perche’ la paziente non respira e Gatwiri non e’ capace a usare
l’ambu. Dico a Make di iniziare a chiudere l’utero da sola. Mi dice che le
tremano gambe e piedi… ed io le rispondo che tremano anche a me, ma che non ci
sono alternative.
Dopo altri dieci minuti che ci sembrano eterni, la paziente
riprende la respirazione spontanea, anche se molto superficialmente. Lascio i
compiti anestetici a Gatwiri, mi lavo e aiuto Makena a chiudere... La mamma
rimane incosciente fino all’ultimo punto sulla cute, ma poi finalmente apre gli
occhi e si mette a parlare: non si ricorda niente. Chiede del bimbo che
fortunatamente si e’ ripreso, e, ringraziando il Signore, sembra ora fuori
pericolo.
Noi siamo a pezzi, ma abbiamo ancora il raschiamento da fare per quell’aborto.
La ragazza e’ ora stabilizzata. Il sangue scorre nelle sue vene, ed il polso si
è fatto pieno. In corridoio vedo la coraggiosa sorellina che ha donato. Mi
ferma e mi chiede: “ dottore, ora quando e’ che moriro’?” Mi sono scese
le lacrime dagli occhi: e’ infatti una credenza comune da queste parti che nel
sangue ci sia la vita e che chiunque dona, poi perde parte della vita stessa e
muore presto.
Questa e’ anche una delle ragioni culturali per cui e’ cosi’
difficile avere donatori. Con commozione grande le ho detto: “ allora vuoi
veramente bene a tua sorella se le hai dato il sangue sapendo che poi saresti
morta”. E lei ha incalzato: “ si’, le voglio bene e preferisco morire
io, perchè lei ha dei bambini ed io no”.
L’ho abbracciata forte e le ho
spiegato che donare e’ un atto di generosita’ senza conseguenze e che io dono
ogni 3 mesi dall’eta’ di 18 anni, e sono ancora vivo e vegeto. Credo che mi
abbia creduto... o almeno lo spero, perche’ ha davvero sorriso. Che bello pero’
che lei abbia deciso di morire, piuttosto che abbandonare la sorella al suo
destino. E’ un atto eroico che veramente mi ha toccato.
Sono gia’ le 14.30.
Spero di riuscire ad andare a mangiare qualcosa e poi, se Dio vuole e non ci
sono emergenze, proverei a riposarmi per alcune orette, anche se il
cercapersone e’ sempre in agguato.
Ciao.
Beppe
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