giovedì 31 ottobre 2013

Tornare a Chaaria...


A fine Gennaio 2014 partirò dall'Italia per tornare a Chaaria dopo un anno e mezzo.

Il desiderio è sempre stato vivo in me fin dal giorno in cui a settembre 2012 sono tornata in Italia dopo la prima esperienza ma, non è stato facile trovare un periodo che si confacesse alle mie esigenze familiari e lavorative.
Ogni giorno mi domando per quale motivo desideri così tanto ritornare .
A volte mi sembra che si configuri come atto di altruismo anche se, da laboratorista, il mio lavoro laggiù si svolge non accanto ai pazienti ma al personale che ogni giorno si adopera per fornire risultati analitici nel più breve tempo possibile per favorire il lavoro di reparto e per permettere agli "out-patients" di sottoporsi al controllo pomeridiano e di avviarsi verso casa non troppo tardi.
Penso ad un atto di egoismo: laggiù lontano da tutto e da tutti riesco a trovare una grande serenità della quale sento una grande bisogno e riuscire a lavorare come laboratorista è una gioia grandissima. 



E' l'occupazione per la quale ho studiato e lavorato per tanti anni che ho abbandonato, parzialmente, prima per esigenze familiari poi perchè in Italia la sanità è in grande difficoltà, i posti liberi rimangono vacanti e l'età avanza inesorabile...
Alcuni familiari mi esortano apertamente a non partire altri non si esprimono. Spesso mi domando: sono davvero io a scegliere in totale autonomia o qualcuno a me superiore mi guida, per un progetto che non mi è noto ma che, forse è stato predisposto per recare bene a tutti coloro che amo.
Non riesco ad immaginare quanto grande sarà l'emozione che proverò nel rivedere L'Ospedale. Spero che il Signore mi aiuti a raggiungere questo obiettivo.


Anna Sampò

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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