domenica 13 ottobre 2013

Tre in un colpo solo

Il telefono suona in piena notte. 
Brancolo nel buio e rispondo ancora tutto assonnato.
Guardo l’ora e sono le 4.30 del mattino. 
Dall’altra parte della cornetta una voce vispa e pimpante mi dice: “bentornato in Kenya, dottore; sono Sr Florence da Gatunga. Stiamo partendo adesso con una partoriente che ha un prolasso di cordone”.
Sapendo che Gatunga è molto lontano che che ci vorrà ancora un’ora e mezza prima del loro arrivo, decido di allertare il personale della notte, dicendo loro di preparale la sala, mentre io provo a riposarmi ancora un po’, visto che l’ultimo raschiamento di ieri sera era finito alle 23.
L’ambulanza arriva alle 6 in punto, come mi aspettavo: io naturalmente ero sveglio per la tensione e non mi sono fatto chiamare due volte. 



Ad Eunice che mi parlava dal cercapersone ho solo chiesto se il cordone ombelicale pulsava ancora dopo le ore di viaggio su quelle terribili strade sterrate. Alla sua risposta affermativa ho chiamato Jesse per l’anestesia: non mi sarei mai sognato di fare una spinale io in una emergenza del genere. E’ infatti rarissimo riuscire a salvare il feto nel caso di prolasso del cordone ombelicale
Jesse è stato velocissimo e dieci minuti più tardi eravamo già in sala. 
Non solo procideva il cordone, ma anche i piedini del nascituro, che quindi era in posizione podalica.
Come in tutti i casi di emergenza estrema, ci siamo coordinati con la massima velocità, ed in circa due minuti abbiamo estratto un feto vivo anche se sofferente; la cosa che mi ha subito colpito è stato comunque il fatto che il bimbo era davvero molto piccolo, paragonato al pancione che avevo visto prima di incominciare l’operazione.
Guardo con più attenzione e grido all’assistente di sala: “ sono gemelli!”
E’ molto frequente che non siamo al corrente della gravidanza gemellare quando riceviamo donne riferite da dispensari molto rurali e sperduti: quelle strutture non hanno infatti alcun ecografo a disposizione.
Anche il secondo feto ha una presentazione podalica, ma l’estrazione è assolutamente facile. E’ un po’ più grosso del primo, ed evidentemente non ha sofferto.
A questo punto mi dedico al secondamento manuale, vale a dire all’estrazione della placenta; con sorpresa però sento delle parti ossee al di sotto delle mie dita. Guardo con attenzione tra le due placente da cui già abbiamo reciso il bambino ed intravedo un altro sacco amniotico: “ce n’è un terzo! E’ una tripletta!”.
Anche stavolta la presentazione è podalica, e nuovamente l’estrazione è semplice: è il gemello più piccolo, ma pure  lui piange sonoramente ed è vispo.
Non possiamo dare la notizia alla mamma perchè è addormentata, ma il padre è in corridoio: deve essere un bel colpo per loro, che aspettavano il primogenito ed ora hanno già tre figli.
Mentre continuo l’intervento con più calma, mi rendo conto che nuovamente non ho guardato il sesso dei nuovi nati; la tensione era troppa!
Lo chiedo a Josphine che fa da assistente di sala. Pure lei nella confusione non l’aveva notato, e deve andare in sala parto per appurare.
Si tratta di due femminucce e di un maschietto, e tutti sono in buone condizioni generali.
La nostra domenica è quindi iniziata con un grande servizio alla vita. Abbiamo salvato la mamma, e le abbiamo donato tre figlioletti.
Con il cuore pieno di gioia e con gli occhi gonfi di stanchezza ci prepariamo quindi per la messa con i malati.

Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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