Il telefono suona in piena notte.
Brancolo nel buio e
rispondo ancora tutto assonnato.
Guardo l’ora e sono le 4.30 del mattino.
Dall’altra parte della cornetta una voce vispa e pimpante mi dice: “bentornato
in Kenya, dottore; sono Sr Florence da Gatunga. Stiamo partendo adesso con una
partoriente che ha un prolasso di cordone”.
Sapendo che Gatunga è molto lontano che che ci vorrà ancora
un’ora e mezza prima del loro arrivo, decido di allertare il personale della
notte, dicendo loro di preparale la sala, mentre io provo a riposarmi ancora un
po’, visto che l’ultimo raschiamento di ieri sera era finito alle 23.
L’ambulanza arriva alle 6 in punto, come mi aspettavo: io
naturalmente ero sveglio per la tensione e non mi sono fatto chiamare due
volte.
Ad Eunice che mi parlava dal cercapersone ho solo chiesto se il cordone
ombelicale pulsava ancora dopo le ore di viaggio su quelle terribili strade
sterrate. Alla sua risposta affermativa ho chiamato Jesse per l’anestesia: non
mi sarei mai sognato di fare una spinale io in una emergenza del genere. E’
infatti rarissimo riuscire a salvare il feto nel caso di prolasso del cordone
ombelicale
Jesse è stato velocissimo e dieci minuti più tardi eravamo
già in sala.
Non solo procideva il cordone, ma anche i piedini del nascituro,
che quindi era in posizione podalica.
Come in tutti i casi di emergenza estrema, ci siamo
coordinati con la massima velocità, ed in circa due minuti abbiamo estratto un
feto vivo anche se sofferente; la cosa che mi ha subito colpito è stato
comunque il fatto che il bimbo era davvero molto piccolo, paragonato al
pancione che avevo visto prima di incominciare l’operazione.
Guardo con più attenzione e grido all’assistente di sala: “
sono gemelli!”
E’ molto frequente che non siamo al corrente della
gravidanza gemellare quando riceviamo donne riferite da dispensari molto rurali
e sperduti: quelle strutture non hanno infatti alcun ecografo a disposizione.
Anche il secondo feto ha una presentazione podalica, ma
l’estrazione è assolutamente facile. E’ un po’ più grosso del primo, ed
evidentemente non ha sofferto.
A questo punto mi dedico al secondamento manuale, vale a
dire all’estrazione della placenta; con sorpresa però sento delle parti ossee
al di sotto delle mie dita. Guardo con attenzione tra le due placente da cui
già abbiamo reciso il bambino ed intravedo un altro sacco amniotico: “ce n’è un
terzo! E’ una tripletta!”.
Anche stavolta la presentazione è podalica, e nuovamente
l’estrazione è semplice: è il gemello più piccolo, ma pure lui piange sonoramente ed è vispo.
Non possiamo dare la notizia alla mamma perchè è
addormentata, ma il padre è in corridoio: deve essere un bel colpo per loro,
che aspettavano il primogenito ed ora hanno già tre figli.
Mentre continuo l’intervento con più calma, mi rendo conto
che nuovamente non ho guardato il sesso dei nuovi nati; la tensione era troppa!
Lo chiedo a Josphine che fa da assistente di sala. Pure lei
nella confusione non l’aveva notato, e deve andare in sala parto per appurare.
Si tratta di due femminucce e di un maschietto, e tutti sono
in buone condizioni generali.
La nostra domenica è quindi iniziata con un grande servizio
alla vita. Abbiamo salvato la mamma, e le abbiamo donato tre figlioletti.
Con il cuore pieno di gioia e con gli occhi gonfi di
stanchezza ci prepariamo quindi per la messa con i malati.
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