domenica 10 novembre 2013

I ragazzi di strada


Meru ne è piena, soprattutto in certe zone. Sniffano colla per non sentire i crampi della fame e girano senza meta per la città uniti in bande.

Vivono di espedienti.

Qualcuno dice che sono molto pericolosi, ma a me fanno solo molta pena.

Li ho visti l'altra sera mentre rovistavano tra le immondizie appena al di fuori di un ristorante: lo fanno tutti i giorni e dividono quello che è commestibile da quello che non lo è. Tra i rifiuti
trovano pezzi di pane, avanzi di riso e pasta, pezzi di carne che i clienti non hanno finito.
Li raccolgono e li mangiano sul posto, con mani luride: "che sistema immunitario devono avere per non soccombere a qualche malattia diarroica!", ho pensato mentre li osservavo da lontano.
Un altro giorno li ho visti in quel torrentello (che poi è anche una specie di fogna a cielo aperto) vicino alla strada sterrata che conduce alla diocesi: li ho guardati mentre facevano il bagno in quell'acqua marrone di fango, e poi la bevevano pure: "certo, hanno davvero un organismo molto forte" mi sono ripetuto in cuore.
Ciò che mi turba nell'anima è però il fatto che sono ragazzi giovanissimi: dove sono le loro famiglie? Che futuro avranno? andranno mai a scuola?
Ogni volta che vedo gli street boys, è immediato per me pensare a quanto sono fortunato: io posso mangiare quando ho fame e non ho bisogno di sniffare la colla per dimenticarmi dei crampi allo stomaco; il cibo che trovo in tavola a Chaaria è pulito, mentre loro rovistano tra le immondizie; normalmente la doccia la faccio calda e bevo acqua bollita... loro invece hanno solo un torrente contaminato.
Che mistero la povertà!



Perchè qualcuno nasce privilegiato e ricco come il sottoscritto che non dorme mai sotto la pioggia, ed altri non hanno un tetto sulla testa?
Che cosa ho fatto io per meritarmi quello che ho, e che cosa possono aver fatto questi bambini per meritarsi quello che non hanno dalla vita?
E' un mistero che disturba e toglie la pace, ed al quale è impossibile trovare risposte.



Ma chi sono gli street boys?



Il fenomeno degli street boys ha assunto delle proporzioni enormi negli ultimi anni. Si tratta di ragazzi dall’età molto disparata (mediamente dai 6 ai 16 anni), per lo più orfani o rigettati dalla famiglia, i quali popolano le strade delle città più grandi e tentano di sopravvivere tramite la questua o la piccola malavita. 

Non hanno posto dove dormire, né hanno fonti sicure di cibo: è quindi una scena costante osservare gruppi di ragazzi sporchissimi che sonnecchiano ai bordi della strada, sniffando colla per non sentire i crampi della fame, e che accorrono attorno all’automobile per chiedere qualche spicciolo o un po’ di cibo.

Il fenomeno dei ragazzi di strada ha all’origine molti problemi culturali e sociali; tra tutti però mi pare che il più importante sia la diffusione dell’AIDS, che falcidia la popolazione adulta, creando un numero elevato di orfani a cui nessuno pensa. 
Questi, crescendo in strada, continueranno a vivere sessualmente molto promiscui, cooperando così all’ulteriore diffusione dell’infezione. 
Attualmente il termine street boys è poco corretto, in quanto è sempre più frequente vedere anche bambine e ragazze che sniffano colla e si uniscono ai gruppi di giovani mendicanti che vagano notte e giorno lungo le strade.

Adesso io sono in camera mia e tra poco mi metterò a dormire in un letto comodo, e mi sentirò protetto da muri che mi danno sicurezza; tanti però sono in strada all'addiaccio. Sento importante pensarci.

Non posso fare molto per loro, ma rivolgo al Signore una preghiera che è prima di tutto ringraziamento per tutto quello che ho e di cui spesso non so ringraziare; poi lo prego di custodire queste piccole anime disperate, questi angeli dalle ali spezzate, che popolano la notte di Meru.



Fr Beppe



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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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