Mi sono alzato alle 6 più stanco di quando sono andato a
letto. Mi sono fatto una violenza terribile per andare a pregare, ma mi sono vinto
perchè già sapevo che la preghiera mattutina forse sarebbe stato l’unico
momento in cui sarei entrato in cappella.
Dopo le lodi, mi sono diretto verso la chiesa parrocchiale
per la messa: subito dopo la comunione, ancor prima dell’orazione finale, il
parroco ha intonato l’inno nazionale kenyano: “Eh già, oggi è la festa
dell’indipendenza, ed è anche il giubileo del Kenya, in quanto quest’anno
celebriamo 50 anni da quando la nazione si è liberata dalla dominazione
coloniale inglese”.
Ho cantato anch’io
l’inno e mi sono unito a quei quattro parrocchiani che ogni giorno va a messa:
tutti ci siamo sentiti kenyani in quel momento.
Poi la giornata è iniziata caotica e stressante. Siamo stati
invasi da fiumane di pazienti che trovano in Chaaria un ospedale aperto in un
momento in cui tutte le strutture governative sono chiuse.
Oggi poi, essendo un
giorno festivo, eravamo anche un po’ sotto staff. Inoltre la seduta operatoria
era di per sè molto impegnativa, con una prostatectomia che poi ci ha fatto
molto soffrire a causa di una forte emorragia nel post-operatorio; una
tiroidectomia e vari altri interventi.
Oggi l’onda d’urto più pesante l’abbiamo avuta in maternità
in quanto l’unico ospedale governativo che fa tagli cesarei è chiuso: abbiamo
fatto dieci cesarei da stamattina; non era mai successo prima. Non sto a
raccontarvi dei parti spontanei e dei tanti aborti.
Oggi con Pietro siamo saltati come grilli da una sala
operatoria all’altra.
Riceviamo di tutto, perchè la gente non sa davvero dove
andare. Oggi sono entrate per esempio due fratture di femore che cercheremo di
operare domani.
I reparti sono al tracollo, con due pazienti per letto.
L’ambulatorio è così pieno da mattino a sera che non si passa neppure in
corridoio. Meno male che in questo momento abbiamo anche delle volontarie
interniste che ci danno una grandissima mano sia in reparto che in ambulatorio.
Devo ancora andare a cena e sono le 22.30. Sono così
stremato che spero solo che non mi chiamino di notte. Per la prima volta di oggi
prendo in mano il telefonino e ci trovo un messaggio che probabilmente è stato
inviato molte ore prima. E’ di una persona in autorità che mi chiede senza
preamboli: “che cosa sponsorizzate come Cottolengo per la festa
dell’indipendenza ed il giubileo del Kenya?”
Decido di rispondere con pace nel cuore: “auguro al Kenya un
buon cinquantesimo compleanno, e per la festa di oggi offro il nostro lavoro e
la nostra donazione da mattino a sera, le nostre porte sempre aperte per tutti
gli abitanti di questa nazione che non sanno dove cercare le cure di cui hanno
bisogno, i nostri ricoveri gratuiti per tutti i poveri che non possono pagare,
la nostra fatica ed il nostro amore per la gente di qui. Questo è il nostro
modo di dire al Kenya: buon compleanno”.
Fr Beppe Gaido
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