giovedì 12 dicembre 2013

Buon compleanno, Kenya!

Mi sono alzato alle 6 più stanco di quando sono andato a letto. Mi sono fatto una violenza terribile per andare a pregare, ma mi sono vinto perchè già sapevo che la preghiera mattutina forse sarebbe stato l’unico momento in cui sarei entrato in cappella.
Dopo le lodi, mi sono diretto verso la chiesa parrocchiale per la messa: subito dopo la comunione, ancor prima dell’orazione finale, il parroco ha intonato l’inno nazionale kenyano: “Eh già, oggi è la festa dell’indipendenza, ed è anche il giubileo del Kenya, in quanto quest’anno celebriamo 50 anni da quando la nazione si è liberata dalla dominazione coloniale inglese”.
Ho cantato  anch’io l’inno e mi sono unito a quei quattro parrocchiani che ogni giorno va a messa: tutti ci siamo sentiti kenyani in quel momento.
Poi la giornata è iniziata caotica e stressante. Siamo stati invasi da fiumane di pazienti che trovano in Chaaria un ospedale aperto in un momento in cui tutte le strutture governative sono chiuse. 




Oggi poi, essendo un giorno festivo, eravamo anche un po’ sotto staff. Inoltre la seduta operatoria era di per sè molto impegnativa, con una prostatectomia che poi ci ha fatto molto soffrire a causa di una forte emorragia nel post-operatorio; una tiroidectomia e vari altri interventi.
Oggi l’onda d’urto più pesante l’abbiamo avuta in maternità in quanto l’unico ospedale governativo che fa tagli cesarei è chiuso: abbiamo fatto dieci cesarei da stamattina; non era mai successo prima. Non sto a raccontarvi dei parti spontanei e dei tanti aborti.
Oggi con Pietro siamo saltati come grilli da una sala operatoria all’altra.
Riceviamo di tutto, perchè la gente non sa davvero dove andare. Oggi sono entrate per esempio due fratture di femore che cercheremo di operare domani.
I reparti sono al tracollo, con due pazienti per letto. L’ambulatorio è così pieno da mattino a sera che non si passa neppure in corridoio. Meno male che in questo momento abbiamo anche delle volontarie interniste che ci danno una grandissima mano sia in reparto che in ambulatorio.
Devo ancora andare a cena e sono le 22.30. Sono così stremato che spero solo che non mi chiamino di notte. Per la prima volta di oggi prendo in mano il telefonino e ci trovo un messaggio che probabilmente è stato inviato molte ore prima. E’ di una persona in autorità che mi chiede senza preamboli: “che cosa sponsorizzate come Cottolengo per la festa dell’indipendenza ed il giubileo del Kenya?”
Decido di rispondere con pace nel cuore: “auguro al Kenya un buon cinquantesimo compleanno, e per la festa di oggi offro il nostro lavoro e la nostra donazione da mattino a sera, le nostre porte sempre aperte per tutti gli abitanti di questa nazione che non sanno dove cercare le cure di cui hanno bisogno, i nostri ricoveri gratuiti per tutti i poveri che non possono pagare, la nostra fatica ed il nostro amore per la gente di qui. Questo è il nostro modo di dire al Kenya: buon compleanno”.


Fr Beppe Gaido



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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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