lunedì 2 dicembre 2013

Quadretto africano (seconda parte)

Stanotte ha piovuto abbondantemente, e quindi mi aspetto un sacco di fango nel raggiungere la chiesa parrocchiale per la messa.
Sono stanco ed assonnato perchè sono stato chiamato per un raschiamento e poi ho fatto tanta fatica a riprendere sonno.
Passo dal mio studio in ospedale per mettermi gli stivali, e lo faccio muovendomi un po’ come uno zombi.
Quando infilo il piede sinistro non ci sono problemi, mentre quando metto il destro sento una puntura sul pollicione e poi qualcosa di molto ruvido sotto il piede.
Penso che ci sia un po’ di terra secca nello stivale; tolgo il piede e sbatto la calzatura per terra... ma non ne esce nulla.
Allora mi decido a mettere la mano dentro e sento una “cosa molliccia” e mobile. Ritiro la mano spaventato, ricordando che in passato mi è capitato di trovarci uno scorpione.



Invece poi dallo stivale escono due grossi scarafaggi marroni. Mi fanno un po’ schifo, soprattutto pensando che la maggior parte del tempo lo spendono nelle fogne, ma almeno non sono pericolosi.
Rimetto la mano nello stivale che ora appare vuoto e pronto all’uso.
Mi avvio verso la chiesa per la messa, pensando che avrei dovuto dare il seguente consiglio a tutti i volontari che vengono a Chaaria nella stagione delle piogge: non infilatevi mai una scarpa senza prima verifiare che sia effettivamente vuota e disabitata.


Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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