mercoledì 5 marzo 2014

Le signore in rosso

Karibu. Io sono una “signora in rosso” e con molte colleghe e colleghi sono impegnata a tenere l’Ospedale di Chaaria pulito e ben funzionante. 
A proposito, mi chiamo B…

Abbiamo tanti compiti da svolgere e vorrei raccontarveli.
A Chaaria ci sono due stagioni, quella asciutta e quella delle piogge. Durante la stagione asciutta, la polvere rossa e fine della terra si deposita ovunque, sui pavimenti sugli arredi... ovunque insomma; le centinaia di persone che ogni giorno arrivano all’Ospedale la portano con sé, i camion, le auto, i matatu che passano nella strada appena fuori il recinto sollevano nuvole che si depongono dappertutto: tutte le mattine, armate di spazzoloni e secchi d’acqua laviamo i pavimenti, spazziamo, spolveriamo: è una battaglia senza fine ed infatti nel pomeriggio ricominciamo da capo.
Nella stagione delle piogge invece la lotta è contro il fango, tenace e vischioso, che si attacca ai pavimenti delle stanze, dei corridoi aperti, dell’area degli out-patient. 
Questo è solo uno dei nostri compiti: pensate, per esempio, alla quantità di biancheria che si consuma ogni giorno nell’Ospedale: ad ogni ricoverato viene fornita una divisa, camicione per le donne, giubba e pantaloni per gli uomini, poi lenzuola per 140 letti, teli per i lettini da visita degli ambulatori, divise della Sala Operatoria.



La lavanderia lavora a pieno ritmo, sperando sempre che non ci siano problemi d’acqua, poi stendere, raccogliere, piegare, mettere negli armadi. 
Noi siamo addette anche alla distribuzione dei pasti ai ricoverati. La cucina principale prepara ogni giorno il cibo per i Buoni Figli e per i malati. 
Sono circa 250 pasti in tutto, di cibo sano confezionato, in buona parte, con i prodotti della shamba dell’ Ospedale: grandi piatti di ugali, kideri, riso e verdura , carne due volte la settimana. Le porzioni sono molto generose: forse qualche malato particolarmente povero non ha mai mangiato così bene! Poi diamo le diete per i diabetici, il porridge per i bambini piccoli.
Alcune di noi lavorano dai Buoni Figli e svolgono gli stessi compiti, ma si occupano anche dell’igiene personale di questi ragazzi: li imboccano quando necessario, li mettono a letto la sera. 
Altre invece collaborano o nella Sala Dentistica o nella Farmacia, di notte anche in Sala Operatoria. Alcune provvedono alla sterilizzazione dei materiali per le operazioni chirurgiche, tagliano e piegano garze, imbustano lavano i ferri riempiono i set chirurgici.
Noi siamo molto contente di avere questo lavoro che ci dà uno stipendio sicuro, importante per le nostre famiglie, per la scuola dei figli e ci garantisce la miglior assistenza sanitaria che qui si possa avere.
Quando alla Messa della Domenica in Ospedale cantiamo a piena voce, esprimiamo al Padre Eterno anche la nostra gratitudine per questo dono.
I Volontari ci sfiorano, ci conoscono poco a meno che non siano venuti tante volte, non hanno grandi rapporti con noi: forse non si rendono conto della dignità e dell’importanza del nostro lavoro. 
Anche noi siamo intimidite da loro, sappiamo che vengono da lontano, che hanno fatto tante cose per Chaaria, ma restiamo abbastanza distanti. 
Ci fa divertire vedere come camminano i Volontari, sempre di corsa quasi saltellando: deve essere proprio un’abitudine dei bianchi, anche Fr. Beppe, che ormai è un Africano, ma bianco, cammina sempre così.
ll nostro passo è più lento, cadenzato, sembriamo lenti ma arriviamo lontano. Qualche volta aiutiamo i Volontari, come interpreti, con i malati o gli out-patient ma per noi è difficile, soprattutto se il loro Inglese non è un gran ché, spiegare ai malati le domande ed ai Dottori le risposte....abbiate pazienza, non abbiamo studiato da Infermiere, ma come in ogni cosa che facciamo siamo piene di buona volontà.

Fr Beppe e B. Insieme a tutto il “supportive staff”






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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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