lunedì 21 aprile 2014

La vita dei campi e quella dell'ospedale

In questi giorni la campagna brulica di gente, per lo più donne, curve fino a terra ed intente nel noioso lavoro di diserbare a mano i campi in cui è stato seminato il granoturco.
E’ un lavoro faticoso sotto il sole cocente, ma è assolutamente necessario per evitare che la gramigna soffochi le pianticelle che poi daranno cibo a tutta la famiglia nel momento del raccolto.
La stagione delle piogge è arrivata in ritardo quest’anno, ma sta piovendo bene: ci sono forti acquazzoni di notte, mentre di giorno splende un sole stupendo ed il cielo è di un blu accecante. Il caldo del giorno e l’umidità piovosa della notte costituiscono una miscela particolarmente favorevole per la crescita dei raccolti.
C’è anche molta più erba, e lungo le rive che costeggiano le strade sterrate si vedono bambini che accompagnano le mucche al pascolo.



Il fatto che piova di notte è positivo anche per l’ospedale, in quanto per i pazienti è sì difficile raggiungerci al mattino, ma entro le undici le strade sono asciutte ed i matatu possono viaggiare.
Oggi è Pasquetta, ed il sole risplende in cielo.
Lo staff è dimezzato a motivo del fatto che è festa e le festività dobbiamo darle al nostro personale.
La gente però è venuta a frotte perchè nei villaggi il concetto di “giornata festiva” è molto poco compreso. Abbiamo anche avuto due addomi acuti in sala operatoria, per la solita legge di Murphy.
Tutti noi siamo psicologicamente preparati perchè nei giorni festivi a Chaaria si lavora il doppio: è sempre stato così, e lo sta diventando ancora di più oggi, quando sperimentiamo una crescente multi-etnicità tra i nostri pazienti: ieri per esempio era Pasqua, ma l’ambulatorio è stato affollatissimo fino alle 17.30. 
Da questo punto di vista è stato sintomatico il fatto che la moglie di un mio paziente somalo mi abbia chiesto un’ecografia per lei alla fine dell’orario di visita pomeridiano: “ti prego di assistermi oggi perchè poi dobbiamo viaggiare fin quasi al confine”. Io le ho risposto che per me era Pasqua, ma lei candidamente ha risposto: “Sì, ma io sono musulmana”.
Naturalmente poi l’ecografia gliela ho fatta lo stesso, come sempre mi capita, perchè dire di no mi spiace troppo.


Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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