giovedì 19 giugno 2014

Devo venire a far volontariato in un periodo così?

Carissimi volontari,

molti mi scrivono e mi chiedono se sia sicuro venire in Kenya dati i continui episodi terroristici avvenuti negli ultimi mesi.
E’ naturalmente molto difficile rispondere a questa domanda, perchè stiamo vivendo un momento di notevole insicurezza.
Quello che posso dire è che gli attacchi terroristici sono avvenuti soprattutto nel Nord, sulla Costa o a Nairobi.
Meru sembra per adesso del tutto esente da attacchi terroristici e non si notano tensioni politiche o religiose. 
Inoltre Chaaria è assolutamente rurale e da noi la situazione è quella di sempre: ovviamente è opportuno non uscire dopo il tramonto perchè ci sono stati ultimamente anche episodi di rapina a mano armata, ma, generalmente parlando, mi sembra che non ci sia nessun sentimento ostile verso gli stranieri.
L’aeroporto di Nairobi è certamente la zona più blindata in assoluto nel Paese, per cui lì i volontari sono al sicuro. Normalmente poi viaggiamo direttamente su Chaaria senza neppure entrare in città.



Quindi la mia risposta alla domanda è che ogni volontario si deve sentire libero nella decisione di venire o meno. 
La mia impressione è che più o meno la situazione sia quella di sempre a Chaaria, anche se certamente ogni attacco in Kenya ci turba e ci rende tristi, nervosi e guardinghi.
Per cui, a tutti quelli che mi fanno la domanda diretta se sia opportuno venire, io rispondo certamente di sì. 
Noi aspettiamo i volontari come sempreed abbiamo bisogno di loro, ma capiremo anche coloro che per motivi personali non se la sentissero di venire.
La cosa più importante adesso è che tutti insieme preghiamo per la pace in Kenya e per l’armonia tra le diverse fedi religiose.

Fr Beppe Gaido e Fr Giancarlo Chiesa



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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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