venerdì 20 giugno 2014

Troppo tardi

La paziente era rimasta in travaglio per molte ore. Nessuno si aspettava complicazioni perchè si trattava della quinta gravidanza. 
Si era rivolta ad un dispensario del Tharaka, molto lontano da qui: per chi conosce la zona, si tratta di un villaggio almeno 20 chilometri più lontano di Gatunga... quindi circa ottanta chilometri di strada sterrata.
Verso le quattro di ieri pomeriggio le hanno detto che era necessario andare in un ospedale più attrezzato in quanto non sarebbe stata in grado di partorire, mentre le condizioni del feto iniziavano a deteriorare.
Il problema è che quella struttura non aveva un’ambulanza, nè tantomeno la sua famiglia un’automobile.
I parenti hanno dovuto cercare un mezzo di trasporto pubblico e pagare un sacco di soldi.
Il tempo necessario per tale operazione è stato lungo ed irto di difficoltà: fatto stà che sono arrivati a Chaaria alle ventuno. 


Per caso io ero già in ospedale per il controgiro serale per cui abbiamo agito subito: la mamma era esausta; aveva addirittura sviluppato una paraparesi (cioè una paralisi parziale degli arti inferiori) a motivo delle molte ore in cui la testa del nascituro aveva compresso i plessi nervosi sacrali. 
Da parte mia bisognava comprendere due cose: la prima era se il feto fosse ancora in vita, e la seconda se non ci fosse anche rotto l’utero.
L’eco mi ha dimostrato che rottura d’utero non c’era, ma il bambino era praticamente in asistolia: il battito cardiaco era cioè così lento da non superare i dieci al minuto. Il batito comunque c’era; non era assente! Moralmente dovevamo tentare di estrarre quel bimbo, nella vaga speranza di salvargli la vita.
Non potevamo pensare al cesareo, in quanto ci sarebbero voluti almeno venti minuti prima di essere pronti per la sala. Inoltre, la spinale con l’inevitabile vasodilatazione avrebbe causato la morte del feto quasi all’istante.
La dilatazione della cervice era completa e quindi l’unica opzione possibile mi è sembrata quella del forcipe ostetrico.
Infatti, con l’aiuto dello staff della notte e di Cecilia abbiamo fatto partorire quella donna in meno di un minuto: la femminuccia venuta al mondo in quel modo drammatico però non respirava, pur avendo qualche raro battito cardiaco.
Ci siamo precipitati su di lei ed abbiamo dato il massimo con le poche armi a nostra disposizione per la rianimazione: massaggio cardiaco, respirazione con ambu, adrenalina. Tutto però è stato inutile e ci siamo arresi dopo mezz’ora.
La mamma è stata veramente brava: ha apprezzato il nostro sforzo e la tempestività del nostro intervento. Lei stessa ha riconosciuto che, se avesse avuto una macchina, forse sarebbe arrivata a Chaaria in tempo utile per salvare la sua creatura. Con l’atteggiamento che spesso vedo nei nostri pazienti più poveri, lei è comunque riuscita a metabolizzare subito la perdita, e non ha fatto scene.
Non ha accusato nè noi nè il Padre Eterno per quello che le era appena successo. Ha semplicemente accettato quella che secondo lei era la volontà di Dio.
Devo imparare molto dai poveri!
Davvero la mia fede non può reggere il paragone con la loro!
Ora quella mamma che a casa ha altri quattro bambini che la aspettano, dovrà stare con noi per un po’ di tempo: sarà necessario praticare molta fisioterapia perchè non riesce assolutamente a reggersi in piedi.
Sono contentissimo che la donna sia viva!
Mi spiace un sacco per quella bimba!
Non posso fare a meno di pensare che anche questa piccola creatura sia stata ammazzata dalla povertà!

Fr Beppe Gaido





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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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