domenica 1 giugno 2014

Emergenza nel week-end


E' sabato pomeriggio e, come spesso capita, l'ospedale è pieno come se non fosse affatto fine settimana.

Siamo stanchi e sotto-organico. Sono le 3 del pomeriggio quando arriva John, un paziente sulla settantina con un enorme pancione e con un forte dolore addominale che gli impedisce quasi di respirare.
Lo visitiamo e notiamo che è anche molto disidratato. La pancia è dura ed alla palpazione suona come un tamburo. Con il fonendoscopio si ascoltano rumori intestinali incrementati e metallici. il malato ha vomito importante ed ha l'alvo chiuso ai gas ed alle feci.
Ci pare un'occlusione intestinale di tipo meccanico.
Si tratta quindi di un'emergenza non procrastinabile.
Fortunatamente c'è Mbaabu, anche se mi manca tanto Makena: faccio dunque l'intervento con l'aiuto di Bonface e Celine... sempre confidando nell'invisibile mano della Provvidenza. Aprendo l'addome appuriamo che la nostra diagnosi è corretta: si tratta infatti un enorme volvolo, piuttosto complicato in quanto coinvolge sia il tenue come anche il sigma (che appare particolarmente lungo e mobile).



Fortunatamente le anse sono sì molto distese ma vitali: cerchiamo prima di tutto di capire come si sia avvoltolato l'intestino... e non è per niente facile. Con pazienza certosina abbiamo però ragione del groviglio intestinale e ci rendiamo conto che il fulcro su cui si sono avvoltolati i visceri è costituito da una gossa massa dell'ileo. Il lavoro ancor più difficoltoso è quello di svuotare l'intestino, che pian piano di riduce di volume ed assume un aspetto normale.


Asportiamo quindi la massa che ora manderemo per l'esame istologico.

Speriamo che non sia un tumore. Per ora comunque la vita di john è salva. Dopo l'intervento, guardando l'addome piatto di John, non ci sembra neppure di aver davanti lo stesso panciuto paziente con cui siamo entrati in sala due ore prima.


Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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