venerdì 22 agosto 2014

Inpatients


A differenza dell'outpatient, che è il paziente ambulatoriale, l'inpatient è il paziente ricoverato.
L'inpatient è diverso. No, ho sbagliato subito, l'in. è lo stesso che quando avevi visto come out. non ti ha mai guardato in faccia, che è entrato e uscito senza salutarti e tanto meno ringraziarti, ma.....ti ha conosciuto, ti ha visto in sala operatoria, ti ha visto quando eri preoccupato quando stava male, ti ha visto sollevato quando andava meglio, ti ha visto quando sei andato a trovarlo prima di dormire, o di notte dopo un cesareo...e ha capito.
Ha capito che non sei li per sfruttarlo (o peggio) come per generazioni ha fatto l'uomo bianco (muzungu); ha capito che sei li per lui, per cercare di aiutarlo, ed ecco che, soprattutto le Donne (come già detto altrove Donna africana va scritto con la maiuscola!), quando ti incontrano per l'ospedale ricambiano il tuo cenno di saluto e il tuo sorriso, senza parlare, quasi timidamente, ma non occorre di più. 
 

Io non frequento molto il reparto, un po' perché ho l'alibi di essere occupato altrove, un po' per vigliaccheria perché vedi cose che non vorresti mai vedere e per le quali sei impotente. Praticamente ci vado solo quando mi chiamano per una consulenza e per seguire gli operati, non tutti, ma quelli più delicati o che mi preoccupano.
Questa sera sono sceso dopo cena per controllare un vecchio (probabilmente più giovane di me) che mi angoscia da alcuni giorni anche se spero di "tirarlo fuori". Dopo che l'ho visitato e che ha capito dalla mia faccia che ero soddisfatto, mi ha stretto forte la mano e mi ha sorriso con la sua bocca sdentata.
Ho sempre saputo di aver scelto la mia strada per quella stretta e quel sorriso .

Dr Pietro Rolandi
 
 

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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