giovedì 7 agosto 2014

Rosella


E’ certamente una decana tra i volontari ed il rapporto di amicizia con lei dura da più di un decennio. 
Anche quest’anno Rosella ci ha dedicato 6 settimane di intenso lavoro in reparto, vicino ai più gravi ed ai morenti.
E’ una frase tipica di Rosella quella con cui si definisce il fanalino di coda o l’ultima ruota del carro a Chaaria: sarà pur vero quello che dice lei; comunque anche i fanalini posteriori e le ruote di scorta servono moltissimo a far sì che il carro continui a camminare bene.
Rosella ha aiutato il nostro personale nelle medicazioni delle piaghe, nel rifacimento dei letti, nel trasposto dei malati in carrozzella. 
Si è presa cura dei più gravi, imboccandoli e dando loro da bere. 
Ha anche pregato per e con i malati, preoccupandosi nel contempo di far chiamare il sacerdote quando qualcuno desiderava i sacramenti. 
 

Ha pure visitato la casa di Tuuru e quella di Nairobi con cui ha rapporti di amicizia e di collaborazione da molti anni.
E’ bello vedere il suo coraggio e la sua determinazione; è ammirevole che lei voglia ancora dedicarsi agli altri nonostante abbia passato da un po’ i vent’anni.
Con lei abbiamo sempre condiviso anche la messa mattutina e la preghiera della sera, tanto in capella quanto in camera di Fr Lodovico.
Rosella è sempre scesa in reparto dopo cena fino alle 22 per mettere la zanzariera ai malati e magari cambiare quelli che erano sporchi.
Come sempre si è nuovamente dimostrata una “forza”.
Con il personale ha trovato i suoi canali di comunicazione, nonostante la totale assenza della lingua inglese. Lei dice sempre che il linguaggio dell’amore è universale e lo comprendono a tutte le latitudini
Un abbraccio a te, cara Rosella, e buon viaggio.

Fr Beppe
 

 

Nessun commento:


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


Guarda il video....