lunedì 6 ottobre 2014

Douglas


Douglas proveniva da un’altra struttura dove era stato ricoverato per vari giorni con una vaga diagnosi di stitichezza, e dove gli avevano fatto ben poco. Era stata la madre a richiedere la dimissione per tentare il viaggio della speranza a Chaaria. Lo abbiamo ricoverato oggi pomeriggio con un’ importante distensione addominale. Douglas ha sette anni ma non ne dimostra più di 5 (la foto non è sua ma di un bimbo che un po’ gli assomiglia).

L’ecografia dell’addome fatta d’urgenza in ambulatorio ha dimostrato delle immagini suggestive di anse intestinali dilatate ed aggrovigliate.
Ho chiesto alla mamma se il bimbo andasse di corpo, e lei mi ha detto che ha avuto una sola mozione ieri dopo molti giorni di stitichezza. Inoltre da stamattina è comparso il vomito.
Douglas è molto emaciato a causa di una infezione da HIV, per cui già è seguito e sta assumendo terapia antiretrovirale. 


La prima diagnosi che mi è venuta in mente è stata quella di volvolo intestinale, supportata anche dal fatto che i suoi globuli bianchi erano molto elevati. 
Ne ho parlato con la mamma, la quale si è affidata totalmente alla mia decisione clinica, lasciandomi piena libertà di decidere circa l’intervento chirurgico. 
Siamo entrati in sala quasi subito, perchè ho imparato a mie spese che, con gli addomi acuti, più aspetti e più ci sono rischi per la vita del paziente. 
La diagnosi di addome acuto era in effetti giusta, così come la decisione di agire immediatamente. La situazione che si è presentata sotto i nostri occhi era comunque un po’ diversa da quella che avevo immaginato all’ecografia: non un volvolo, ma una lunga intussuscezione della valvola ileo-cecale fino a metà del colon trasverso. L’area invaginata era molto edematosa ed bluastra, ma pareva ancora vitale. Abbiamo quindi fatto una lenta e prudente de-vaginazione dei visceri, e siamo riusciti ad evitare perforazioni intestinali. Le anse erano sofferenti, ma, dopo aver riposato per qualche minuto sotto delle garze imbevute di acqua tiepida, sono ridiventate decentemente rosee. 
Abbiamo quindi deciso di richiudere l’addome senza fare resezioni, e di sperare che l’intestino si riprenda bene, senza complicazioni. 
Abbiamo lavorato con calma: non abbiamo chirurghi italiani ad aiutarci in questo periodo... ma lavorare con Makena, Mama Sharon e Mbaabu è stato rilassante e veloce. 
Dopo l’operazione Douglas è in pediatria con la mamma, e le sue condizioni sono stabili; noi speriamo di avergli salvato la vita, anche se sappiamo che per lui non sarà per niente facile continuare la sua giovane esistenza in compagnia del virus HIV, con il peso quotidiano della terapia antiretrovirale e con la stigmatizzazione che ci circonda e che certo non lo risparmierà in futuro. 

Fr. Beppe 












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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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