A Chaaria, in Kenya, non ci si ferma mai. Le emergenze sono numerose e continue. Ogni giorno, alla porta del Cottolengo Mission Hospital, bussano tra le 300 e le 350 persone. Sono adulti, bambini orfani, mamme con neonati al seguito, disabili. Tanti di loro – per paura, poca informazione o, semplicemente, perché non hanno risorse economiche – arrivano in ospedale quando infezioni e malattie sono in stadio avanzato. La maggior parte dei pazienti non può permettersi di pagare le cure o un intervento nelle altre strutture sanitarie keniote. Beppe Gaido, fratello del Cottolengo di Torino, medico specialista in Malattie infettive, non lascia mai nessuno fuori dalla struttura, anche a costo di far condividere un letto a due pazienti. Direttore sanitario e amministrativo dell’ospedale e della missione dal 1998, Fratel Beppe si occupa senza sosta del Cottolengo Mission Hospital Chaaria. lunedì 3 novembre 2014
Il Cottolengo Mission Hospital: dalla Sardegna al Kenya per garantire cure e assistenza ai più poveri
A Chaaria, in Kenya, non ci si ferma mai. Le emergenze sono numerose e continue. Ogni giorno, alla porta del Cottolengo Mission Hospital, bussano tra le 300 e le 350 persone. Sono adulti, bambini orfani, mamme con neonati al seguito, disabili. Tanti di loro – per paura, poca informazione o, semplicemente, perché non hanno risorse economiche – arrivano in ospedale quando infezioni e malattie sono in stadio avanzato. La maggior parte dei pazienti non può permettersi di pagare le cure o un intervento nelle altre strutture sanitarie keniote. Beppe Gaido, fratello del Cottolengo di Torino, medico specialista in Malattie infettive, non lascia mai nessuno fuori dalla struttura, anche a costo di far condividere un letto a due pazienti. Direttore sanitario e amministrativo dell’ospedale e della missione dal 1998, Fratel Beppe si occupa senza sosta del Cottolengo Mission Hospital Chaaria. Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.
Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.
Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.
Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.
Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.
E poi, andare dove?
Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.
Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.
Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.
Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.
Questo è quello che facciamo, ogni giorno.
Fratel Beppe Gaido
Nessun commento:
Posta un commento