venerdì 7 novembre 2014

L'aderenza alla terapia e lo scoglio dell'analfabetismo

L’aderenza alla terapia è molto importante in moltissime condizioni patologiche che richiedono l’assunzione di farmaci per lungo tempo: pensiamo al diabete, all’ipertensione arteriosa o all’insufficienza cardiaca.
Nel caso di malattie infettive, l’aderenza è essenziale al fine di contenere il problema della resistenza agli antibiotici (mi riferisco per esempio alla tubercolosi, quando i pazienti devono assumere la dose quotidiana per 6 mesi)
Il caso dell’HIV è ancora più significativo, in quanto l’aderenza alla terapia è l’unico modo a nostra disposizione per cercare di contenere il problema della resistenza che il virus ha in sè, a motivo della facilità con cui avvengono mutazioni.
Si dice che saltare la terapia per pochi giorni, già possa offrire al virus una finestra di opportunità per eludere l’azione dei farmaci antiretrovirali.
Spiegare come assumere i farmaci con fedeltà non è molto difficile quando il paziente è andato a scuola ed è motivato a curarsi: egli ha infatti gli strumenti per comprendere e la determinazione per mettere in pratica.
I problemi più grossi li abbiamo con le persone illetterate e provenienti da aree rurali e depresse: normalmente la loro vita non è scandita dall’orologia; sovente poi non sanno leggere, e bisogna usare dei segni iconografici per far loro capire gli orari di assunzione o il numero di pillole.
Da tempo abbiamo in uso delle bustine di nylon in cui è disegnato un sole nascente, un sole pieno, un sole calante ed una mezzaluna, a significare l’alba, il mezzogiorno, il tramonto e la notte. Usiamo questo stratagemma per far capire ai clienti analfabeti quando devono assumere la terapia. Il numero di compresse lo indichiamo con delle crocette al di sotto del disegno che indica l’orario.



Nel caso dei farmaci antiretrovirali normalmente diamo ai clienti le compresse contate per un mese, ed alla visita di controllo chiediamo loro di venire con la bustina della terapia.
Contando il numero di pillole rimaste possiamo avere un’dea (seppur grossolana) del fatto che siano stati aderenti o meno alla terapia.
E’ una stima molto approssimativa perchè è chiaro che qualcuno potrebbe buttare via le compresse e farci vedere la busta vuota, tanto per darci l’illusione che siano stati fedeli alla terapia (che, tra l’altro distribuiamo gratuitamente).
Per dare un’idea delle difficoltà che incontriamo nel monitoraggio dell’assunzione dei farmaci antiretrovirali, vi racconto il caso di Joan che viene da un’area rurale ed isolata a circa 20 chilometri da Chaaria (per chi conosce i nostri dintorni, essa vive a Kauthene).
Joan non sa nè leggere nè scrivere, e vive in una casupola senza elettricità.
E’ venuta ieri e le ho chiesto se avesse assunto le medicine regolarmente al mattino ed alla sera (cioè al momento del sole nascente e del sole calante sulla bustina).
Lei ha risposto di sì in modo sicuro e con un sorriso raggiante.
Io però ero molto preoccupato dal fatto che potevo contare un certo numero di compresse rimaste nella busta consegnatami da Joan; l’ho quindi incalzata dicendo: “eppure la matematica ti tradisce e devi aver saltato la medicina per almeno cinque giorni”.
Lei si è rabbuiata un attimo; poi ha guardato il marito che le stava vicino, in piedi, immobile come una cariatide e completamente ammutolito: “ma certo che ci cono delle medicine rimaste. Io devo prenderle quando sorge il sole e quando il sole tramonta...guarda il disegno!  Ma non ti sei accorto che per almeno cinque giorni ha fatto brutto ed ha piovuto? Il sole io non l’ho visto nè sorgere nè tramontare... e quindi non ho preso la medicina”.
Joan è stata così tenera e disarmante che non ho avuto la forza di arrabbiarmi. Con l’aiuto di una traduttrice, ho rispiegato tutto nuovamente in kimeru, anzichè in kiswahili, e poi ho insistito sul fatto che il sole sorge anche quando è nuvoloso e che le medicine non bisogna mai saltarle: si prendono quando fa chiaro al mattino e quando fa buio alla sera.
Essa ha battuto i pugni sul tavolo più volte per farmi capire che stavolta aveva capito proprio bene.
Vedremo cosa succederà alla prossima visita di controllo.

Fr Beppe Gaido   


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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