sabato 11 aprile 2015

Lettera aperta ai volontari "recidivi" di Chaaria

Eravamo un gruppetto di volontari a Chaaria. Siamo ripartiti da lì il 27/3 contenti di tornare a casa, ma con un certo rimorso nell’abbandonare chi rimaneva in prima linea.
Siamo stati accolti da amici e parenti con espressioni di sollievo per lo scampato pericolo e noi a dire, ma no, nulla di eroico, in Kenya in generale e a Chaaria in particolare tutto è tranquillo…..dopo pochi giorni la strage di Garissa.
All’inizio ancora cercavo di convincermi che quell’orrore, come altre atrocità che avvengono in altre parti del mondo, non toccasse da vicino la Missione: Garissa è lontana, al confine con la Somalia, è una conseguenza della guerra fra i due paesi…..il primo duro colpo alle mie illusioni l’ho avuto quando Fr. Beppe mi ha detto che molti nostri pazienti vengono da quella zona, che quindi non è poi così lontana.
Ho verificato su Google: secondo il percorso che si sceglie la distanza è di 350-400 Km. percorribili in macchina in un tempo variabile tra le 5 ore e le 5 ore e mezza: il tempo che normalmente impieghiamo noi per raggiungere la Missione dall’aeroporto di Nairobi.
Man mano poi che emergevano altri particolari, gli orrori nell’orrore, il fatto che le vittime siano state scelte in base al credo religioso ho dovuto arrendermi all’evidenza che non è la guerra, non riguarda una ristretta area di confine, è una barbarie che, col pretesto della religione, vuole distruggere una civiltà, un modo di vivere, chiunque sia “diverso”.


Una delle cose che più mi piaceva di Chaaria era la coesistenza del tutto pacifica delle persone indipendentemente dagli svariati credo religiosi…sarà ancora così? Inizierà ad insinuarsi una reciproca diffidenza?
Sicuramente, salvo svolte positive difficilmente immaginabili nel breve periodo, chi lavora laggiù dovrà affrontare, oltre al pesantissimo lavoro quotidiano, anche il timore per la propria incolumità.
Più prendo consapevolezza della questione e più penso agli operatori della Missione e, in particolare, a Fr. Beppe e a
Fr. Giancarlo che oltre ad essere “diversi” per religione, lo sono anche per razza.
Purtroppo non possiamo fare nulla di concreto per alleviare il loro disagio, ma sicuramente meritano tutta la nostra ammirazione, la nostra solidarietà e il nostro affetto e anch’io, a modo mio, pregherò per loro.

Dr Pietro Rolandi


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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