martedì 26 maggio 2015

Non trovare la vena ad un bambino gravissimo

E’ tremendo trovarsi davanti ad un bambino con respiro rantolante e con un’emoglobina di 2 grammi, e non riuscire a trovare la vena da nessuna parte.
Ti senti incapace, inutile, in colpa.
Sai che il piccolo ha bisogno di sangue; la sacca è pronta dal laboratorio, ma la mancanza di un accesso venoso impedisce al benefico fluido vitale di entrare in quel corpicino e ridargli vita.
Ti senti anche un po’ un carnefice: il bambino è troppo grave per piangere vigorosamente, ma i suoi tenui vagiti ed i deboli scossoni del suo corpo ti dimostrano che comunque gli stai facendo male. 
Lo hai già bucato dappertutto: nelle braccia, nelle mani, nelle caviglie, sullo scalpo. Ti sei illuso tante volte di aver trovato l’accesso, perchè all’inizio il sangue refluiva nella cannula; ma poi con disperazione vedevi che la trasfusione non gocciolava ed il sito di iniezione gonfiava pian piano.
Allora hai sperato nelle giugulari (difficilmente reperibili in un bimbo collassato dall’anemia): anche qui le hai trovate più volte, ed un sorriso ha fatto capolino sulle tue labbra... ma poi, nello sforzo di inserire la cannula fino in fondo per poterla fissare alla cute, anche le giugulari si rompevano ed il collo gonfiava. Storia analoga quando hai provato ad reperire le vene femorali... anzi, qui è successo anche di peggio quando, per pura sfortuna, hai incannulato l’arteria, invece della vena.
Ma il bimbo ha bisogno di sangue. Non ci si può arrendere: altrimenti lo si condanna a morte sicura davanti agli occhi della mamma implorante!



Allora ti affidi all’accesso chirurgico: sei oramai così disperato che neppure ci credi più e quasi stai sottoscrivendo la fine di quel bambino per il quale la tua parte pigra ha già sentenziato che non c’è più nulla da fare. Però il tuo senso etico ti chiede di non mollare e di andare avanti ad oltranza, nonostante la stanchezza.
Ma anche qui la situazione è disperante.
Nella prima caviglia non trovi assolutamente niente: tutti i vasi sono collassati, e non ti resta che suturare. Ti aggrappi alla tenue speranza riposta sotto la cute dell’altra caviglia: l’ultimo punto in cui tormentare il piccolo.
Qui fortunatamente la vena la trovi, la incannuli e sei interiormente sollevato; ma anche stavolta è un’illusione perchè, dopo aver richiuso la cute, ti rendi conto che la flebo proprio non va: forse la punta dell’ago-cannula ha bucato la parete a monte dell’accesso, e quindi siamo nuovamente fuori vena.
Non sai cosa dire alla mamma. Hai già buttato la spugna.
Jesse borbotta e dice che è il diavolo ad aver nascosto tutte le vene.
Tu non hai più forze.
Siamo praticamente rassegnati al peggio, pur avendo una sacca di sangue vicino a noi.
Poi Monicah ha un guizzo di genio, mentre la Provvidenza guida la sua mano: nonostante tutti i tentativi falliti precedentemente nella stessa area anatomica, lei si accanisce con le vene dello scalpo... e ci riesce... proprio all’ultimo... proprio quando noi tutti avevamo desistito.
“Evviva! Iniziamo subito a trasfondere!”
Tutti si rilassano e finalmente sorridono. Jesse è il primo a dire una preghiera di ringraziamento al Signore.
Guardiamo l’ora ed è quasi l’una di notte. La ricerca della vena era incominciata alle 7 di sera. 
Meno male che questo bimbo ci ha aspettati e non ha deciso di andare in paradiso prima che potessimo dargli il sangue di cui aveva bisogno. La mamma ci guarda e non parla. E’ certamente sconvolta ma anche riconoscente.
Purtroppo anche Giancarlo è ancora sveglio. Ha fatto anche lui le ore piccole sostenere questo bambino.
Siamo contenti per questo piccolo, ed insieme diciamo grazie a Dio per il suo aiuto, arrivato quando ormai non speravamo più.

Fr Beppe  


PS: da pochi giorni abbiamo a disposizione aghi speciali per puntura trans-ossea nella tibia dei bambini. Questo nuovo strumento ci aiuterà a trasfondere in fretta casi come quello che ho appena descritto oggi.



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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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