venerdì 8 maggio 2015

Picchiato dal fratello

E’ arrivato a Chaaria dieci giorni fa verso le ore 13.
Sono stato chiamato in ambulatorio ed ho visto il paziente in posizione fetale su una barella.
Urlava per un dolore lancinante all’addome ed era coperto da perline di sudore gelido.
Gli ho messo una mano sulla pancia e l’ho trovata dura come una tavola di legno. L’eco ha dimostrato anse ferme e liquido denso in cavità peritoneale.
Ho guardato Makena che era in piedi vicino a me e lei ha subito capito senza che proferissare verbo: “chiamo immediatamente l’anestesista”.
Io annuisco e le dico: “facciamo subito gli esami d’urgenza e le prove crociate... entriamo in sala il piu’ presto possibile!”
La nostra macchina dell’emergenza si attiva celermente ed in venti minuti il malato e’ gia’ in sala, addormentato ed intubato.
Apriamo l’addome con una vasta incisione xifo-pubica, e la prima cosa che troviamo in cavita’ peritoneale e’ tantissimo materiale fecaloide.
Il primo lavoro e’ quindi quello di aspirare e di lavare un po’ le anse.
Ci mettiamo quindi alla ricerca della perforazione che ha causato tutto quel fluido infetto in addome.
La troviamo quasi subito: è una perforazione sulla parte anti-mesenterica del tenue, una perforazione relativamente piccola da cui fuoriesce abbondante materiale fecale. Ci sono già aderenze, ma è facile lisarle.



Tiriamo un sospiro di sollievo, perche’, tra tutti gli scenari chirurgici possibili, questo e’ uno dei piu’ favorevoli dal punto di vista della tecnica operatoria.
Decido per una recentazione della perforazione a cuneo e sutura diretta dell’intestino in due strati. L’assalto che ha causato la perforazione è avvenuto poche ore prima.
Abbiamo quindi proceduto all’ulteriore lavaggio della cavita’ peritoneale, alla revisione di tutto l’intestino per essere sicuri che non ci siano altri buchi, ed infine alla lisi di ulteriori aderenze infiammatorie gia’ molto pronunciate a causa dell’abbondante fibrina.
Credo che gli abbiamo salvato la vita.
“Ma cosa è successo?” chiedo a Makena prima di lasciare la sala. “E’ stato un litigio con suo fratello a causa di un pezzo di terra. Il Fratello lo ha preso a bastonate sulla pancia”.
“Deve essere stata una botta tremenda quella che gli ha letteralmente fatto scoppiare l’intestino”.
Poi mi scappa un’espressione che penso da tanto: “la terra, la terra! Benedizione e maledizione nello stesso tempo per tanta della nostra gente!”


Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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