martedì 14 luglio 2015

Milazzo: Fratel Beppe Gaido racconta la sua esperienza missionaria grazie a Matumaini - Speranza

Lo scorso venerdì 10 luglio, presso i locali dell’Associazione “Il Giglio” e della Fondazione Barone Lucifero di Milazzo si è tenuta un’ apericena di solidarietà organizzata dall’Associazione Matumaini – Speranza di Milazzo. 
Guest Star della serata è stato Fratel Beppe Gaido, straordinario medico missionario in Kenya che, con il sostegno di un video e di alcune slides, ha raccontato la sua esperienza.
Ad introdurre la serata è stata la Dott.ssa Carmen Falletta, Presidente dell’associazione organizzatrice dell’evento. Esattamente in cardine con l’intento associativo che riguarda la promozione della solidarietà tra le persone, attraverso il supporto economico e organizzativo a piccole iniziative in aree di sottosviluppo ed attraverso l’educazione e la formazione della cultura del “noi”, la serata è stata un’occasione di arricchimento per i presenti, che hanno potuto assistere al racconto dell’esperienza, ormai la vita stessa, di Fratel Beppe impegnato in Kenya da circa vent’anni.
Visibilmente forte nello spirito Beppe Gaido ha iniziato dai ringraziamenti, mostrando già una sua peculiarità: la semplicità e l’umiltà nel ringraziamento nei confronti dei presenti.


Le immagini e la musica di un video proiettato hanno contribuito ad una testimonianza di vita che racconta un intreccio tra la vita e la morte, che presenta l’altro, il fratello diverso della cui esistenza ci si dimentica, semplicemente perchè non si pensa o si disconosce una realtà che segna ma insegna che la lontananza fisica non ha senso e che l’unico modo per cambiare le cose è combattere con tutte le forze a disposizione per migliorare le condizioni di vita di un altro come noi.
“Fratel Beppe è una persona straordinaria – ha affermato la Falletta – non si arrende mai. Sono solo in due, lui ed un altro, i medici che operano presso il Chaaria Hospital del Kenya, un’area di Savana, molto diversa da quella del Congo in cui opera Matumaini. Sono circa 3000 gli interventi che ogni anno impegnano questi medici che non sono specializzati, ma sono pronti e capaci di fare tutto.”
L’ospedale, una sede distaccata del Cottolengo di Torino, è necessariamente nato vicino all’acqua, ad un fiume che regala una vegetazione bellissima e dell’acqua mista a fango che prima dell’utilizzo deve essere bollita, filtrata, clorata “ma questo in molti non lo sanno e si ammalano” – ha affermato Fratel Beppe che nel 1997 venne inviato a Chaaria. 
La sua presenza ha consentito al dispensario di fornire prestazioni di più ampia portata. Nata da subito l’esigenza di avere a disposizione qualche posto letto per seguire quei pazienti che, dopo il primo intervento medico, necessitavano di essere seguiti e non rimandati a casa, la presenza del medico ha attirato un numero sempre maggiore di utenti (gli out-patient), con le patologie più varie, anche con carattere di urgenza o gravi. 
Negli anni, si è realizzato un cambiamento della tipologia di pazienti che afferiscono al Centro: sono diventati sempre più gravi e bisognosi di cure intensive. Sono stati, dunque, attivati dei servizi prima inesistenti, quali maternità, servizio di trasfusione, ginecologia, traumatologia e chirurgia.
E’ un racconto quello di Fratel Beppe che è stato trascritto in un diario dal titolo “Ad un passo dal cuore” e che racconta di Chaaria, un piccolo villaggio, dove sorge l’unico ospedale per coprire una zona di migliaia di persone, fino a 300 km di distanza. Storie di vita e di morte, di volontari insostituibili, collaboratori e formatori, ma anche infermieri che in Africa visitano e curano il 90 percento degli ammalati, mentre un medico è in sala operatoria tutto il giorno e l’altro visita i casi più gravi che costituiscono circa il 20 percento di coloro che passano dall’ospedale.
La missione a Chaaria non si ferma alle cure mediche, ma ha un’attenzione in più anche nei confronti degli orfanelli e dei disabili. “L’aspetto particolare che forse divide più un europeo da un africano – ha spiegato il missionario religioso – è che per l’africano non esistono due realtà, quali la vita e la morte, ma esiste solo la vita di cui la morte fa parte. 
Per loro, la morte è normale che avvenga e non è importante per loro cosa o chi rappresenta la religione, un albero di Baobab o Allah, ma è davvero necessario per l’africano, Dio, lui non può vivere senza. 
La morte avviene quando Dio arriva ed è per questo che per loro la morte non è mai un atto estremo. Non è facile avere i sensi di colpa ed avvertire per la morte di un parente, ma lì capita una cosa strana. Loro mi consolano e mi dicono che è opera di Dio.”
Una bella ed illuminante serata nel verde di Gigliopoli cooronata da un bellissimo cielo stellato, quella organizzata dall’associazione Matumaini, grazie alla testimonianza di Fratel Beppe, un uomo che è un oasi nel deserto lì dove vive ed opera e cerca di istruire e combattere le ferite per l’uso del macete, l’HIV, la malaria, la tubercolosi ed anche la lebbra.

Cristina Saja





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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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