mercoledì 1 luglio 2015

Panga, morsi ed altre forme di violenza

Nelle ultime settimane abbiamo avuto una concentrazione veramente significativa di ricoveri dovuti ad atti di violenza: da Isiolo abbiamo avuto un ferito da arma da fuoco. E’ stato molto fortunato in quanto la pallottola è entrata molto lateralmente nel torace posteriore; è uscita anteriormente e gli ha trapassato il braccio, risparmiando sia l’omero che l’arteria. Con nostra sorpresa, alla lastra del torace non c’era emo-pneumotorace ed il paziente respirava bene, per cui in pratica si è trattato solo di fare suture varie.
Le brutte ferite da panga sono state varie e di solito molto gravi, con lesione di tendini ed ossa. La riparazione dei danni ha generalmente richiesto complicati interventi chirurgici di fissazione interna di ossa, di tenorrafie e neurorrafie. In un caso specifico la situazione è stata molto complessa da gestire: il paziente aveva ricevuto una “pangata” sul bicipite sinistro, la quale aveva reciso non soltanto il muscolo ma purtroppo anche l’arteria omerale. 




Il sanguinamento era copioso ma la soluzione più semplice di legare l’arteria avrebbe quasi certamente causato un’ischemia e forse una gangrena del braccio stesso. Dopo aver applicato un laccio a monte della ferita, abbiamo quandi deciso di riparare l’arteria con filo assorbibile molto fine: alla rimozione del laccio l’arteria pareva non sanguinare ed il polso si sentiva sia a livello  del gomito e sia a livello radiale. E’ seguita ricostruzione del muscolo e dei vari piani anatomici.
Abbiamo anche avuto un caso piuttosto strano in cui ad un ragazzo giovane era stata recisa parte del labbro inferiore con un morso: sarà stata un’amante arrabbiata che gli ha promesso un bacio e poi lo ha punito? Chi lo sa! Lui non lo vuole dire. Il fatto è che il paziente è anche sieropositivo e quindi mi sa che i due si sono puniti a vicenda. L’intervento è stato una lunga chirurgia plastica in cui siamo pian piano riusciti a ricostruire il labbro stesso, permettendo allo sventurato una adeguata chiusura della bocca e prevenendo così anche la perdita di saliva.
Tutte le volte che devo intervenire su questi esiti di umana violenza dico a me stesso che è sempre molto facile e molto veloce fare dei danni, ma poi ripararli è sovente estremamente difficile, lungo ed a volte addirittura impossibile.
Abbiamo avuto anche due casi di stupro: il primo su una minorenne ed il secondo su una donna sessantacinquenne. Dopo averle visitate entrambe, aver fatto denuncia alla polizia ed aver ordinato tutti gli esami di laboratorio e le terapie del caso, mi son chiesto con amarezza dove sta andando il nostro povero mondo.

Fr. Beppe Gaido

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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