Oggi
un'amica mi ha riproposto una bella citazione tratta dai “Miserabili” di Victor
Hugo, una citazione che in qualche modo viene in mio aiuto in un momento in cui
volo un po' basso ed ho le batterie abbastanza scariche:
"V'è uno spettacolo più grande del mare, ed è il cielo; v'è uno spettacolo
più grande del cielo ed è l'interno dell'anima".
La trovo una frase piena di speranza, una speranza di cui tutti abbiamo bisogno
per tirare avanti, per credere che quello che facciamo ha un senso, per risollevarci
dopo ogni nostra caduta, per non mollare.
Nei momenti di preghiera e meditazione cerco sovente all'interno della mia
anima quella speranza di cui ho tanto bisogno, ed una voce interiore mi
sussurra che la posso trovare nell’amore e nella donazione: devo amare nel
servizio di chi è nel bisogno, amare gli amici che sanno ricambiare il bene che
loro voglio, amare anche quelli che volontariamente o involontariamente mi
fanno star male.
La mia
speranza si nutre del mio continuo desiderio di amare e di mettere l’altro al
centro di ogni mia azione e di ogni mio sforzo.
'Quello che fai tutti i giorni per gli altri rimane e nessuno lo può negare',
mi sussurra un’altra vocina interiore. Forse è vero. Forse è lì che devo
trovare forza e speranza.
Devo guardare a quello che ogni giorno con fatica facciamo per gli altri a
Chaaria; devo pensare alle persone che guariscono grazie alla nostra dedizione;
devo convincermi che è più il bene che facciamo in ospedale che non i nostri fallimenti.
E’ così
naturale per me dimenticare i successi e ricordare solo le sconfitte; eppure lo
so che a Chaaria la mortalità ospedaliera non supera il 3% e quindi che il 97%
dei nostri pazienti vanno a casa guariti. Lo so che la maggior parte delle
operazioni vanno bene e sortiscono l’effetto desiderato. Sono conscio del fatto
che la nostra mortalità materna al parto è zero ormai da vari anni. Tutto
questo mi deve dare speranza, mi deve incoraggare a credere che la nostra
azione caritativa ha un senso perchè ridona salute e benessere a tantissima
povera gente. Sono certo che molta gente sarebbe morta, se non ci fosse stato
il nostro ospedale.
Mi viene
spontaneo in questo momento pensare a Naomi, un’orfana di Mikinduri che è stata
allevata dalla nonna vedova. Naomi è stata sempre bene fino alla sua
adolescenza: era una bambina come tante; le piaceva andare a scuola, ma anche
fare lunghe scorribande con gli amici qua e là per i campi, o tuffarsi nel
torrente vicino a casa per nuotare a lungo.
Una sera,
nella poverissima capanna di legno, andò a letto normalmente, dopo aver dato
alla sua amatissima nonnina il bacio della buona notte. L’indomani mattina
Naomi si svegliò completamente paralizzata dal collo in giù: a mala pena
respirava e muoveva il capo.
Fu
ricoverata a Chaaria sette anni fa in condizioni gravissime. Se la paralisi
fosse ascesa anche solo di pochi centimetri, avrebbe coinvolto i muscoli
respiratori e la poveretta sarebbe soffocata in pochi secondi.
Ci siamo
presi cura di lei, l’abbiamo accudita, abbiamo cercato i farmaci migliori che
si potevano trovare sul mercato, abbiamo fatto indagini anche molto costose per
capire che cosa le fosse successo.
Alla fine
tutto parve riconducibile alla poliomielite. Eh già, Naomi era quindi un’altra
vittima della povertà e del suo essere orfana: i genitori morirono e la nonna
analfabeta non sapeva nulla di prevenzione. Naomi non fu vaccinata da piccola,
ed il virus l’ha colpita quando ormai era adolescente.
Naomi è
ancora a Chaaria dopo tanti anni. Non è mai andata a casa. Noi siamo diventati
la sua nuova famiglia. La paralisi per fortuna non è più risalita; anzi pian
piano è regredita, permettendo alla ragazza di recuperare completamente l’uso
delle braccia. Con grande determinazione Naomi si applicava alla fisioterapia;
lei voleva guarire e noi la incoraggiavamo a continuare a sperare.
La paralisi
però si è fermata a livello del bacino, e, dopo anni di lotta contro il male, Naomi
è ancora in carrozzina. Essa però non demorde e continua a credere che un
giorno camminerà, si sposerà, farà tanti figli ed avrà una vita normale.
Insieme alle
cure ospedaliere gratuite, a Naomi abbiamo offerto di terminare la scuola
superiore, ed ora sta frequentando un corso per segretaria d’azienda. Non
sappiamo se Naomi troverà un lavoro e se mai avrà il coraggio di lasciare il
nostro ospedale per affrontare il mondo da sola. Quello che sappiamo è che
certamente senza di noi Naomi sarebbe morta a casa sua, magari piena di piaghe.
Non siamo riusciti a farla camminare, ma le abbiamo dato speranza sia riguardo
alla guarigione e sia riguardo ad un possibile inserimento sociale e lavorativo
in futuro.
Certamente a
lei abbiamo donato speranza e lasua è stata per noi una storia positiva, un
grande successo.
Di
esperienze simili ce ne sono molte, ed esse sono la nostra forza rigenerante e
l’antidoto contro ogni forma di scoraggiamento.
Penso in
questo momento a Kinagai, un uomo con una terribile ulcera purulenta all’arto
inferiore. Lo abbiamo ricoverato da noi per le medicazioni. Quella piaga però
non dava alcun segno di miglioramento; anzi diventava sempre più profonda, fino
ad interessare l’osso. Alla fine abbiamo dovuto amputargli la gamba. Lui ha
accettato di buon grado, anche se l’intervento è stato estremamente difficile e
pericoloso a causa delle sue precarie condizioni di salute.
Dopo
l’amputazione lo abbiamo aiutato sia psicologicamente, che con la fisioterapia.
Kinagai è
stato con noi per quasi tre anni. Abbiamo per lui confezionato una protesi con
cui ha ripreso a camminare quasi normalmente.
Rimaneva
ancora un problema, e cioè il fatto che era un uomo solo, non sposato e senza
famiglia. Come avremmo potuto aiutarlo? Certamente non sarebbe stato bene per
lui spendere tutti i suoi giorni in ospedale. Provvidenzialmente siamo venuti a
sapere di una scuola che cercava un guardiano per il cancello, ed abbiamo
proposto a Kinagai un reinserimento in società. E’ stato un vero successo ed
anche oggi egli lavora in quella struttura. E’ felice ed autonomo.
Anche la vicenda
di Kinagai, pur nella sua drammaticità, è stata una storia positiva, che ha
ridato speranza a lui e che ci ha molto galvanizzati a fare ancora di più per
gli altri.
Quando poi guardo
al passato e penso che nel 1998 non avevamo neppure una barella su cui visitare
i pazienti, mentre ora abbiamo un ospedale attrezzato e funzionale, non posso
che ringraziare il Signore per quanto abbiamo realizzato finora. E’ vero che è
stata dura e che sovente ci siamo sentiti soverchiati dalle difficoltà, dalle
incomprensioni e dagli insuccessi. Ciononostante, poco alla volta siamo
cresciuti e siamo arrivati fin dove siamo al giorno d’oggi.
Nessuno
avrebbe pensato di fondare un ospedale a Chaaria. E’ stata la gente che lo ha
voluto. Sarebbe stato forse più comodo per noi continuare la nostra attività in
forma di piccolo dispensario: avremmo avuto molto più tempo libero e le spese
sarebbero certamente state inferiori.
Ma come si
fa a lasciar morire la gente semplicemente perchè tu non hai la possibilità di offrire
un determinato servizio? Come puoi rimanere indifferente alla morte di decine
di bambini che avrebbero potuto essere salvati se semplicemente avessi loro
fatto una trasfusione? E’ dura accettare il fatto che le persone povere non
possano avere un intervento chirurgico od ortopedico, solamente perchè non
hanno i soldi!
Ed ecco che
il bisogno della gente, il loro grido di aiuto sono diventati un salutare pugno
nello stomaco, ed uno stimolo all’azione: ci siamo impegnati, abbiamo studiato,
ci siamo formati ed attrezzati in modo da dare risposte sempre più qualificate
a chi a noi si rivolgeva.
La morte, i
bisogni disattesi, la richiesta di aiuto si sono trasformati in energia
positiva che ha dato vita all’ospedale.
In questo
senso mi suggestiona molto la similarità con le vicende di san Giuseppe
Cottolengo: anche lui fu chiamato ad essere testimone inerme di una morte
ingiusta, quella di Maria Gonnet; ed anche lui ha saputo lasciarsi toccare da
tanto dolore, per trasformarlo in benedizione per molti. Il sacrificio di quella
povera donna abbandonata da tutti gli ospedali di Torino è stato lo stimolo
alla fondazione della Piccola Casa, proprio come la morte ed il dolore dei
nostri poveri mi ha stimolato a fare sempre di più per loro.
Chaaria è
cresciuta senza un piano regolatore, come un fungo, e forse in modo un po’ disordinato;
ma anche questo è legato al fatto che sono stati gli eventi ed i poveri a
guidarci. Nel nostro cuore solo la certezza che nulla succede a caso e che ogni
evento della nostra vita è un messaggio di Dio. Ogni volta che incontravamo un
bisogno, cercavamo di rispondervi al nostro meglio: la maternità è nata perchè
le donne venivano da noi e partorivano al cancello se a loro dicevamo che non
offrivamo tale servizio; la chirurgia è iniziata perchè tanta povera gente ci
diceva: “non ho soldi per farmi operare altrove”.
Pure in
questo è bello per me rifarmi a quanto è accaduto agli inizi dell’opera
cottoleghina: anche la Piccola Casa è cresciuta un po’ disordinata, perchè il
Santo Fondatore non era un pianificatore. Egli apriva un nuovo servizio ogni
volta che si trovava di fronte ad un nuovo bisogno.
Ho la
speranza che il Signore, che ha guidato con gli eventi il nascere ed il
crescere di Chaaria, continuerà ad essere con noi anche per il domani: ci
indicherà la via per i futuri sviluppi, e si prenderà cura della nostra
missione pure quando il nostro ruolo su questa terra sarà concluso. Chaaria
infatti appartiene alla Divina Provvidenza, e siamo certi che essa non
l’abbandonerà, e, dopo di noi, altri prenderanno il testimone.
Poi devo pensare a tutte le persone che mi vogliono
bene, e se scandaglio la mia anima vedo che sono davvero tante.
E' proprio vero che la natura umana è un po' strana: ci si focalizza su un
punto nero e si dimentica un enorme foglio bianco che fa da sfondo a quella
macchia scura. Un fallimento professionale o relazionale assorbe tutte le
nostre energie interiori e ci fa dimenticare il bene enorme che c'è in noi ed
attorno a noi. Sì, tanti mi vogliono bene e mi sostengono; tanti sono i
pazienti che tornano a casa guariti; enormi sono i traguardi raggiunti in
questi anni.
Guardo il cielo blu di Chaaria; ripenso al mare immenso di Mombasa che non vedo
da più di un anno; mi immergo nella mia anima e penso che ho molte ragioni per
essere felice e sperare.
Fr Beppe Gaido
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