giovedì 16 luglio 2015

Speranza

Oggi un'amica mi ha riproposto una bella citazione tratta dai “Miserabili” di Victor Hugo, una citazione che in qualche modo viene in mio aiuto in un momento in cui volo un po' basso ed ho le batterie abbastanza scariche:
"V'è uno spettacolo più grande del mare, ed è il cielo; v'è uno spettacolo più grande del cielo ed è l'interno dell'anima".
La trovo una frase piena di speranza, una speranza di cui tutti abbiamo bisogno per tirare avanti, per credere che quello che facciamo ha un senso, per risollevarci dopo ogni nostra caduta, per non mollare.
Nei momenti di preghiera e meditazione cerco sovente all'interno della mia anima quella speranza di cui ho tanto bisogno, ed una voce interiore mi sussurra che la posso trovare nell’amore e nella donazione: devo amare nel servizio di chi è nel bisogno, amare gli amici che sanno ricambiare il bene che loro voglio, amare anche quelli che volontariamente o involontariamente mi fanno star male.

La mia speranza si nutre del mio continuo desiderio di amare e di mettere l’altro al centro di ogni mia azione e di ogni mio sforzo.


'Quello che fai tutti i giorni per gli altri rimane e nessuno lo può negare', mi sussurra un’altra vocina interiore. Forse è vero. Forse è lì che devo trovare forza e speranza.
Devo guardare a quello che ogni giorno con fatica facciamo per gli altri a Chaaria; devo pensare alle persone che guariscono grazie alla nostra dedizione; devo convincermi che è più il bene che facciamo in ospedale che non i nostri fallimenti.

E’ così naturale per me dimenticare i successi e ricordare solo le sconfitte; eppure lo so che a Chaaria la mortalità ospedaliera non supera il 3% e quindi che il 97% dei nostri pazienti vanno a casa guariti. Lo so che la maggior parte delle operazioni vanno bene e sortiscono l’effetto desiderato. Sono conscio del fatto che la nostra mortalità materna al parto è zero ormai da vari anni. Tutto questo mi deve dare speranza, mi deve incoraggare a credere che la nostra azione caritativa ha un senso perchè ridona salute e benessere a tantissima povera gente. Sono certo che molta gente sarebbe morta, se non ci fosse stato il nostro ospedale.
Mi viene spontaneo in questo momento pensare a Naomi, un’orfana di Mikinduri che è stata allevata dalla nonna vedova. Naomi è stata sempre bene fino alla sua adolescenza: era una bambina come tante; le piaceva andare a scuola, ma anche fare lunghe scorribande con gli amici qua e là per i campi, o tuffarsi nel torrente vicino a casa per nuotare a lungo.
Una sera, nella poverissima capanna di legno, andò a letto normalmente, dopo aver dato alla sua amatissima nonnina il bacio della buona notte. L’indomani mattina Naomi si svegliò completamente paralizzata dal collo in giù: a mala pena respirava e muoveva il capo.
Fu ricoverata a Chaaria sette anni fa in condizioni gravissime. Se la paralisi fosse ascesa anche solo di pochi centimetri, avrebbe coinvolto i muscoli respiratori e la poveretta sarebbe soffocata in pochi secondi.
Ci siamo presi cura di lei, l’abbiamo accudita, abbiamo cercato i farmaci migliori che si potevano trovare sul mercato, abbiamo fatto indagini anche molto costose per capire che cosa le fosse successo.
Alla fine tutto parve riconducibile alla poliomielite. Eh già, Naomi era quindi un’altra vittima della povertà e del suo essere orfana: i genitori morirono e la nonna analfabeta non sapeva nulla di prevenzione. Naomi non fu vaccinata da piccola, ed il virus l’ha colpita quando ormai era adolescente.
Naomi è ancora a Chaaria dopo tanti anni. Non è mai andata a casa. Noi siamo diventati la sua nuova famiglia. La paralisi per fortuna non è più risalita; anzi pian piano è regredita, permettendo alla ragazza di recuperare completamente l’uso delle braccia. Con grande determinazione Naomi si applicava alla fisioterapia; lei voleva guarire e noi la incoraggiavamo a continuare a sperare.
La paralisi però si è fermata a livello del bacino, e, dopo anni di lotta contro il male, Naomi è ancora in carrozzina. Essa però non demorde e continua a credere che un giorno camminerà, si sposerà, farà tanti figli ed avrà una vita normale.
Insieme alle cure ospedaliere gratuite, a Naomi abbiamo offerto di terminare la scuola superiore, ed ora sta frequentando un corso per segretaria d’azienda. Non sappiamo se Naomi troverà un lavoro e se mai avrà il coraggio di lasciare il nostro ospedale per affrontare il mondo da sola. Quello che sappiamo è che certamente senza di noi Naomi sarebbe morta a casa sua, magari piena di piaghe. Non siamo riusciti a farla camminare, ma le abbiamo dato speranza sia riguardo alla guarigione e sia riguardo ad un possibile inserimento sociale e lavorativo in futuro.
Certamente a lei abbiamo donato speranza e lasua è stata per noi una storia positiva, un grande successo.
Di esperienze simili ce ne sono molte, ed esse sono la nostra forza rigenerante e l’antidoto contro ogni forma di scoraggiamento.
Penso in questo momento a Kinagai, un uomo con una terribile ulcera purulenta all’arto inferiore. Lo abbiamo ricoverato da noi per le medicazioni. Quella piaga però non dava alcun segno di miglioramento; anzi diventava sempre più profonda, fino ad interessare l’osso. Alla fine abbiamo dovuto amputargli la gamba. Lui ha accettato di buon grado, anche se l’intervento è stato estremamente difficile e pericoloso a causa delle sue precarie condizioni di salute.
Dopo l’amputazione lo abbiamo aiutato sia psicologicamente, che con la fisioterapia.
Kinagai è stato con noi per quasi tre anni. Abbiamo per lui confezionato una protesi con cui ha ripreso a camminare quasi normalmente.
Rimaneva ancora un problema, e cioè il fatto che era un uomo solo, non sposato e senza famiglia. Come avremmo potuto aiutarlo? Certamente non sarebbe stato bene per lui spendere tutti i suoi giorni in ospedale. Provvidenzialmente siamo venuti a sapere di una scuola che cercava un guardiano per il cancello, ed abbiamo proposto a Kinagai un reinserimento in società. E’ stato un vero successo ed anche oggi egli lavora in quella struttura. E’ felice ed autonomo.
Anche la vicenda di Kinagai, pur nella sua drammaticità, è stata una storia positiva, che ha ridato speranza a lui e che ci ha molto galvanizzati a fare ancora di più per gli altri.
Quando poi guardo al passato e penso che nel 1998 non avevamo neppure una barella su cui visitare i pazienti, mentre ora abbiamo un ospedale attrezzato e funzionale, non posso che ringraziare il Signore per quanto abbiamo realizzato finora. E’ vero che è stata dura e che sovente ci siamo sentiti soverchiati dalle difficoltà, dalle incomprensioni e dagli insuccessi. Ciononostante, poco alla volta siamo cresciuti e siamo arrivati fin dove siamo al giorno d’oggi.
Nessuno avrebbe pensato di fondare un ospedale a Chaaria. E’ stata la gente che lo ha voluto. Sarebbe stato forse più comodo per noi continuare la nostra attività in forma di piccolo dispensario: avremmo avuto molto più tempo libero e le spese sarebbero certamente state inferiori.
Ma come si fa a lasciar morire la gente semplicemente perchè tu non hai la possibilità di offrire un determinato servizio? Come puoi rimanere indifferente alla morte di decine di bambini che avrebbero potuto essere salvati se semplicemente avessi loro fatto una trasfusione? E’ dura accettare il fatto che le persone povere non possano avere un intervento chirurgico od ortopedico, solamente perchè non hanno i soldi!
Ed ecco che il bisogno della gente, il loro grido di aiuto sono diventati un salutare pugno nello stomaco, ed uno stimolo all’azione: ci siamo impegnati, abbiamo studiato, ci siamo formati ed attrezzati in modo da dare risposte sempre più qualificate a chi a noi si rivolgeva.
La morte, i bisogni disattesi, la richiesta di aiuto si sono trasformati in energia positiva che ha dato vita all’ospedale.
In questo senso mi suggestiona molto la similarità con le vicende di san Giuseppe Cottolengo: anche lui fu chiamato ad essere testimone inerme di una morte ingiusta, quella di Maria Gonnet; ed anche lui ha saputo lasciarsi toccare da tanto dolore, per trasformarlo in benedizione per molti. Il sacrificio di quella povera donna abbandonata da tutti gli ospedali di Torino è stato lo stimolo alla fondazione della Piccola Casa, proprio come la morte ed il dolore dei nostri poveri mi ha stimolato a fare sempre di più per loro.
Chaaria è cresciuta senza un piano regolatore, come un fungo, e forse in modo un po’ disordinato; ma anche questo è legato al fatto che sono stati gli eventi ed i poveri a guidarci. Nel nostro cuore solo la certezza che nulla succede a caso e che ogni evento della nostra vita è un messaggio di Dio. Ogni volta che incontravamo un bisogno, cercavamo di rispondervi al nostro meglio: la maternità è nata perchè le donne venivano da noi e partorivano al cancello se a loro dicevamo che non offrivamo tale servizio; la chirurgia è iniziata perchè tanta povera gente ci diceva: “non ho soldi per farmi operare altrove”.
Pure in questo è bello per me rifarmi a quanto è accaduto agli inizi dell’opera cottoleghina: anche la Piccola Casa è cresciuta un po’ disordinata, perchè il Santo Fondatore non era un pianificatore. Egli apriva un nuovo servizio ogni volta che si trovava di fronte ad un nuovo bisogno.
Ho la speranza che il Signore, che ha guidato con gli eventi il nascere ed il crescere di Chaaria, continuerà ad essere con noi anche per il domani: ci indicherà la via per i futuri sviluppi, e si prenderà cura della nostra missione pure quando il nostro ruolo su questa terra sarà concluso. Chaaria infatti appartiene alla Divina Provvidenza, e siamo certi che essa non l’abbandonerà, e, dopo di noi, altri prenderanno il testimone.

Poi devo pensare a tutte le persone che mi vogliono bene, e se scandaglio la mia anima vedo che sono davvero tante.
E' proprio vero che la natura umana è un po' strana: ci si focalizza su un punto nero e si dimentica un enorme foglio bianco che fa da sfondo a quella macchia scura. Un fallimento professionale o relazionale assorbe tutte le nostre energie interiori e ci fa dimenticare il bene enorme che c'è in noi ed attorno a noi. Sì, tanti mi vogliono bene e mi sostengono; tanti sono i pazienti che tornano a casa guariti; enormi sono i traguardi raggiunti in questi anni.
Guardo il cielo blu di Chaaria; ripenso al mare immenso di Mombasa che non vedo da più di un anno; mi immergo nella mia anima e penso che ho molte ragioni per essere felice e sperare.

Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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