domenica 13 settembre 2015

Le complicazioni

Ci sono dei periodi di lavoro veramente assillante.
In quelle settimane si opera tantissimo, con sedute lunghe, di almeno 12 interventi.
Siccome poi la sala lavora con interventi programmati sei giorni alla settimana, si superano ampiamente i 60 interventi alla settimana; il problema più importante diventa allora riuscire a dimettere, per poter avere nuovi posti letto da occupare.
In effetti, la maggior parte dei pazienti operati va a casa contento e sereno: c’è chi va a casa l’indomani, chi invece sta in ospedale 4-5 giorni e chi una settimana, ma quasi tutti guariscono bene e senza complicazioni.
Normalmente poi, siamo così impegnati che normalmente non abbiamo neanche il tempo di vederli nel post-operatorio: abbiamo infatti dei protocolli di terapia che i clinical officers seguono alla lettera fino alla dimissione. Sono loro a seguire i pazienti operati ed a mandarli a casa. A volte li incontriamo già in abiti civili mentre lasciano l’ospedale e ci salutano contenti.
Ci sono però alcune volte in cui arrivano le complicazioni: può essere una frattura della tibia in cui la placca ha fatto decubito ed ha causato l’esposizione dell’osso; oppure può essere un paziente operato di perforazione intestinale che sviluppa una deiscenza.


Queste complicazioni ti entrano nella testa e ti fanno sentire uno straccio; hanno il potere di toglierti tutta la soddisfazione che umanamente potresti provare per i molti malati guariti, e ti
sprofondano nella depressione e nell’angoscia su cosa poter fare per fronteggiarle e sconfiggerle.
E questa una delle croci del medico: non ricordare i successi, le persone guarite; ma essere perseguitato emotivamente dai fallimenti e dalle cose andate male.
E’ vero poi anche che più si fa e più c’è la possibilità di sbagliare; più ci si impegna in situazioni complesse e difficili, e più anche le complicazioni possono essere drammatiche e non facilmente gestibili.
Solo chi non fa nulla non ha complicanze!
Diceva un famoso chirurgo di cui non ricordo il nome: “nella mia vita professionale le complicanze le ho sperimentate tutte, e, modesti a parte, ne ho pure inventate di nuove”.
E’ una cosa che sappiamo, ma non possiamo fare a meno di sentire profondo scoramento quando le cose non vanno bene: nascono allora tante domande: avrò fatto tutto quello che dovevo? Dove ho sbagliato?
Ma perchè ho deciso di operare, invece di astenermi?
Indubbiamente la chirurgia è l’area in cui più sovente mi confronto con situazioni emotive del genere, forse perchè persino i parenti dei malati non si ricordano che ogni pratica chirurgica può anche andar male in una certa percentuali di casi. 
Onestamente però ho avuto problemi con persone che mi hanno accusato di negligenza pure con pazienti ricoverati per patologie mediche, ed in un caso sono stato minacciato di denuncia perchè avevo deciso di non operare una persona che ritenevo troppo grave per sopportare l’anestesia.
Le complicazioni sono una croce che mi accompagna ed influenza pesantemente il mio stato d’animo molte volte durante l’anno, ed anche oggi il mio cuore è pesante per due interventi il cui decorso non è dei migliori.
Questa settimana abbiamo operato una sessantina di persone, e quasi tutte sono già a casa o si stanno preparando alla dimissione... ma io sono tormentato dai due che non vanno bene.

Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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