sabato 19 settembre 2015

Sabato senza respiro

Oggi certamente non pareva un weekend: ospedale pieno ed una lista operatoria da paura per riuscire a recuperare pian piano il carico di lavoro arretrato accumulato durante lo sciopero ed anche perchè sempre più numerosi sono i pazienti che si rivolgono a noi per interventi complessi di varie specialità.
Naturalmente poi è settembre, e la maternità è infuocata: parti, tagli cesarei che rallentano la lista operatoria, emorragie post-partum e raschiamenti uterini.
A ciò si aggiunge un colpo al cuore tutte le volte che va via la luce e parte il generatore!
Alle 18,30, quando, con mia sorpresa, sono riuscito a terminare la lista operatoria senza rimandare nessuno, trascinavo i piedi e non riuscivo quasi a parlare.
Sia in cappella che a cena è stata una lotta contro il sonno che mi assaliva in modo sempre più feroce.
Mi sono detto che avrei fatto un giro veloce e poi sarei andato a dormire di filato...ma, appena arrivato in ospedale, il guardiano della notte mi chiama ansimante: "una donna ha partorito al cancello".
Bisogna accorrere con la barella e con le torce e soccorrere la poveretta che non è riuscita ad arrivare fino alla sala parto.
La bambina per fortuna sta benissimo: la raccogliamo e facciamo tutto quello che è necessario per lei. Poi trasportiamo la mamma in sala parto per il secondamento della placenta. Lei piange di gioia quando sente che la creatura piange vigorosamente: "è la mia secondogenita, ma il primo figlio è morto di malaria quando era piccolissimo!".


Sono contento e soddisfatto...ma Harriet mi ferma e mi dice: "entrambe le donne che sono sui lettini da parto hanno complicazioni. Una ha una emorragia ante partum e l'altra ha meconio".
Mi sento a pezzi. Guardo l'ora e vedo che sono quasi le 22. Chiamo Celina e le dico di accorrere in ospedale: "Mi spiace per il tuo sabato sera: ci sono due cesarei!"

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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