giovedì 24 settembre 2015

Vittorie, sconfitte e lezioni di vita

Oggi ho la testa pesante in quanto il lavoro è stato molto intenso durante tutta la giornata...ma questo cerchio alla testa deriva da qualcos'altro, e cioè dal fatto che ci sono stati cesari notturni a raffica nelle ultime cinque notti consecutivamente.
E' molto pesante lavorare di giorno e poi essere in sala per uno o due cesarei di notte.
A volte penso che questa è in fondo la vita normale di molte mamme, che, di giorno lavorano, e di notte sono tenute sveglie dai loro piccoli che devono allattare, cambiare ed accudire quando sono malati.
Mi sento solidale con tutte le mamme, quando non ce la faccio a tirarmi su dal letto per l'ennesimo cesareo notturno, o quando di giorno mi trascino perchè sono stato su alla notte per emergenze varie.
Ci sono poi momenti molto brutti, quando in maternità perdiamo un neonato.
E' successo anche oggi, dopo un cesareo che avevo programmato con attenzione, in quanto la mamma aveva già due pregresse cicatrici, ma non aveva bambini vivi: entrambi erano morti subito dopo essere venuti al mondo.
L'età gestazionale sembrava corretta.
Il peso corporeo alla nascita più che accettabile, in quanto eravamo sui 2700 grammi.


Il neonato ha pianto subito sul lettino operatorio, ma poi la forza dei suoi strilli è andata affievolendosi fino a spegnersi.
Cinque minuti dopo il parto, Mbaabu lo ha dovuto intubare, aspirare e ventilare. Pian piano le condizioni sono migliorate, ma non sono mai state soddisfacenti. Appena cercavamo di svezzare il bimbo dall'ossigeno, diventava tutto blu.
Abbiamo applicato tutti i nostri protocolli di rianimazione, ma non abbiamo visto miglioramenti significativi: abbiamo allora pensato che si potesse trattare di una cardiopatia congenita, tipo uno shunt o qualcosa di simile.
Io non mi sento sicuro con l'ecocardiogramma neonatale e non mi sono sentito di lanciarmi.
Insieme alla dottoressa Khadija abbiamo però ritenuto opportuno un trasferimento in ambulanza al Kenyatta National Hospital, dove forse il piccolo avrebbe potuto essere valutato da un cardiologo pediatrico.
E' stato un lavoro immane organizzare l'ambulanza medicalizzata, dove un'infermiera esperta in rianimazione neonatale avrebbe accompagnato il piccolo fino a Nairobi. Eravamo quasi pronti a partire; l'ossigeno era in ambulanza; tutti i farmaci a disposizione... ma, proprio in quel frangente, il piccolo ci ha lasciati ed è volato in Paradiso in terza giornata post-cesareo.
La mamma, dopo aver visto morire il terzo figlio, è scoppiata in un pianto dirotto ed inconsolabile. Il padre, sempre presente dal momento del parto, è stato stoico e fortissimo: ha accettato l'accaduto dalle mani di Dio; non ha imprecato e non si è ribellato. 
Per noi ha avuto solo parole di elogio per tutte le cure che abbiamo offerto al suo piccolo: "si vede che la volontà di Dio è questa. non c'è niente da fare. Dobbiamo accettarla. Ora ti affido mia moglie; prenditi cura di lei finchè si sarà completamente ristabilita".
Davanti ad un padre così (ho saputo più tardi che è un pastore protestante), e ad una mamma disperata, io mi sono sentito annientato e completamente senza parole...quasi era quel papà a consolare me. Mi ha detto che si era trovato una volta sulla scena di un incidente stradale ed aveva tentato disperatamente di tirare fuori dai rottami quanti più passeggeri potesse, e che si era sentito morire dentro ogni qualvolta qualcuno non ce la faceva e spirava tra le sua braccia dopo essere stato estratto dal veicolo: "per questo, capisco quello che provi, dottore!"
Sono rimasto a bocca aperta di fronte ad una fede così. La mia, al confronto, sbiadisce!
Di cosa sia morto questo bimbo, e forse anche i suoi fratelli, probabilmente non lo sapremo mai, perchè gli esami diagnostici quasi certamente saranno troppo costosi per questa semplice famiglia.
Sono turbato, e non mi resta che pregarci un po' su.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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