lunedì 5 ottobre 2015

Accoltellamento serale

Sono le 18.30 ed avrei davvero bisogno di staccare un attimo.
E' da stamattina alle 8 che corriamo, ed anche la pausa pranzo è stata di 15 minuti.
Mentre già penso di potermi rilassare un attimo prima di andare a pregare, Hella mi chiama in ambulatorio; ha la faccia tesa e l'espressione del viso alquanto scossa: "Beppe, vieni che ci sono emergenze!"
Naturalmente non mi faccio attendere. Nello studio dei clinical officers mi ritrovo davanti due persone insanguinate che giacevano in barella in preda ad un forte dolore. Sono entrambi ubriachi, e, sotto i fumi dell'alcool, si sono accoltellati a vicenda.
Il vecchio è quello che se l'è vista più brutta: ha una pugnalata nel bel mezzo dell'addome, proprio in regione ombelicale, e dalla ferita fuoriescono abbondantemente le anse intestinali.
Il giovane piange dal male, ma onestamente è meno grave: si è preso una coltellata sulla coscia che obiettivamente ha leso solo il muscolo e non ha interessato vasi sanguini, ed una ferita da taglio sul braccio, che comunque lui riesce a muovere bene.
E' sempre un dramma decidere a chi dare la priorità, ma onestamente abbiamo solo due mani e lo staff non è davvero molto a quest'ora della sera.


Ci pare di dover dare priorità all'anziano ubriacone perchè è il più grave.
Entriamo in sala in pochi minuti e ci accingiamo ad una complessa operazione di chirurgia addominale. Ha parecchie perforazioni intestinali: alcune riusciamo a suturarle, mentre per altre bisogna ricorrere alla resezione ed anastomosi del viscere..
L'operazione si protrae per oltre due ore, ma va molto bene. Credo che il paziente se la caverà.
A questo punto, Pietro si ferma in "sala grande" a chiudere la cute, mentre io vado in "sala piccola" per suturare il secondo ferito.
Non so chi sia l'assalitore e chi l'assalito, perchè il coltello ce lo avevano entrambi, e tutti e due hanno tentato seriamente di fare del male all'altro.
Finisco il secondo paziente che sono quasi le 22.
Quando porto le cartelle in reparto con i piani terapeutici post-operatori, mi rendo conto che, per ironia della sorte, ora i "duellanti" sono vicini di letto: non c'erano altri posti disponibili.
Ho quindi dato indicazioni chiare al personale della notte di tenere gli occhi ben aperti, per vedere come si comporteranno, l'uno nei confronti dell'altro, quando l'anestesia e la sbronza saranno passate per entrambi.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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