lunedì 26 ottobre 2015

Fibromi uterini

Sono frequentissimi nelle donne africane.
Il King, mio testo base di riferimento per la chirurgia da campo, asserisce che a 29 anni di età, il 95% delle donne africane ha almeno un fibroma.
E' frequentissimo per esempio trovarli come reperto casuale durante un cesareo, o nel corso di un'ecografia pelvica fatta con indicazione diversa.
Ma il vero dramma è che a volte i fibromi si formano molto prima della data indicata dal King, ed in numero estremamente elevato.
A volte visito donne giovanissime, magari non ancora sposate o nei primissimi anni del matrimonio che presentano situazioni disastrose: sabato abbiamo operato una ragazza appena sposata la quale era venuta in ospedale per emorragie importanti. 
Lei pensava che si trattasse di un aborto spontaneo, ma l'ecografia ha documentato un utero enorme e ripieno di almeno una quarantina di fibromi. L'organo aveva perso completamente la forma anatomica ed appariva mostruoso a causa dei fibromi.
Il dramma è che, con situazioni del genere, queste giovani spose non possono aspettarsi una gravidanza, e qui da noi essere sterili è una condanna irreversibile ad essere ripudiata dal marito, per poi magari risposarsi nuovamente ed essere ancora mandata via dal secondo consorte per la stessa ragione, in un ciclo perfido che si ripete all'infinito e che a volte porta alla pazzia od alla depressione.


Per questa giovane abbiamo tentato la miomectomia: di fibromi gliene abbiamo levati almeno 40. Dopo l'operazione l'utero pareva quasi normale...ma chissà se la paziente potrà avere bambini, vista la profonda cicatrice che l'operazione ha causato sull'utero.
E' sempre una scelta molto difficile da prendere: se la donna sanguina ed è anemica, bisogna certamente operarla per salvarle la vita. La cosa più sicura sarebbe l'isterectomia, in quanto in quel tipo di intervento si perde molto meno sangue...ma non puoi togliere l'utero
ad una giovane che vuole figli.
Allora decidi per la miomectomia, al fine di lasciarle l'utero, ben sapendo che l'intervento fa perdere una quantità notevolissima di sangue in sala e nei primi giorni del post-operatorio... e magari l'emoteca è vuota. Corri tutti questi rischi, conscio che le cicatrici chirurgiche potrebbero comunque a loro volta causare infertilità.
Sono situazioni quasi quotidiane per me e sono anche scelte molto difficili da prendere: le donne in genere vogliono salvare l'utero a tutti i costi, e non ti danno il permesso di cambiare i piani operatori per nessun motivo: nemmeno in caso di emorragia grave e pericolosa per la vita.
Proprio per questo tento di non fare mai questo intervento, se non ho almeno una sacca in emoteca per stand by.
Ma anche questa decisione di non operare se non ho sangue talvolta è controversa e tormentata. Penso a quella volta in cui avevo una giovane che sanguinava a causa dei fibromi uterini, aveva quattro grammi di emoglobina, io non avevo sangue del suo gruppo in emoteca, e nessuno altro ospedale di Meru poteva aiutarmi donandomi una sacca.
Cosa avrei dovuto fare?
Non operarla equivaleva a condannarla a morire dissanguata.
Operarla aveva un rischio elevatissimo a causa dell'anemia.
Trasferirla altrove non aveva senso perchè gli altri ospedali non avevano sangue, proprio come noi a Chaaria.
Indovinate cosa ho deciso di fare!
Questa esperienza drammatica e tormentata ve la racconto comunque solo perchè, tra mille difficoltà, sensi di colpa e ripensamenti, alla fine siamo riusciti a dimettere la paziente che ha lasciato l'ospedale con le sua gambe.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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