sabato 7 novembre 2015

Ai chirurghi che desiderano aiutarci

Carissimi amici,
inizio questa lettera sottolineando il grande bisogno che abbiamo del vostro preziosissimo aiuto.
La vostra opera sara’ tanto piu’ importante quanto piu’ sara’ coordinata ed organizzata in precedenza.
Vivendo e lavorando qui, sapremo indicarvi i campi in cui e’ bene investire le vostre potenzialita’ di servizio. 
Vi faccio un esempio concreto: una mia amica lavora in Chad e mi dice che per loro l’intervento piu’ frequente e’ quello di calcolosi vescicale, sia negli adulti che nei bambini. 
A Chaaria invece penso di aver visto questo problema due volte soltanto in età pediatrica. La calcolosi della colecisti, un tempo assolutamente eccezionale, oggi sta diventando più frequente, così come l’appendicite in fase peritonitica, le vene varicose, ecc. Invece altre patologie sono all’ordine del giorno, e certo dobbiamo continuare a migliorare le nostre potenzialita’ in quei campi specifici: potremmo certamente citare ipertrofia prostatica benigna e tumore della prostata, patologia tiroidea, chirurgia osterico-ginecologica.
In grandissima crescita è la chirurgia addominale, per lo più di emergenza per addomi acuti, o di carattere oncologico per tumori a vari livelli del sistema gastro-intestinale.
Anche la chirurgia ortopedica si sta espandendo ed i bisogni stanno crescendo in modo esponenziale.



Di ernie ne abbiamo di tutti i tipi; la patologia mammaria e frequentissima; la traumatologia da machete poi non manca mai.
Vorremmo tanto iniziare con la chirurgia oculistica, almeno per le cataratte, ma finora i contatti che ho avuto con oculisti (negli ultimi 4 anni almeno!), sono stati tutti un buco nell’acqua, con entusiasmo iniziale, progetti e sogni che poi si sono volatilizzati nel nulla...lo stesso dicasi con le mezze promesse di procurarci un microscopio operatorio.
Altra cosa importantissima, dal mio punto di vista, e’ il fatto che voi dovreste lavorare con noi, perche’ la vostra azione sara’ tanto piu’ efficace se, alla vostra partenza, noi saremo in grado di continuare con le operazioni che voi ci avete insegnato: pensate a cosa sarebbe Chaaria se il chirurgo che venne la prima volta per i cesarei, avesse lavorato da solo senza volerci insegnare l’arte!
Dovrebbe essere un punto fisso per ogni missione chirurgica a Chaaria: andare via quando noi abbiamo imparato qualcosa di nuovo, che poi possiamo continuare ad offrire alla gente per tutto l’anno. 
Venire a fare interventi a cuore aperto per 3 settimane, e poi lasciare che queste operazioni non vengano piu’ eseguite per gli altri undici mesi, e’ certamente meno significativo rispetto ad un piano di operazioni forse piu’ semplici, ma rispondenti alle reali necessita’ della nostra gente, e che noi poi possiamo portare avanti da soli.
Ecco perche’ penso che non sia opportuno organizzare dei grossi team chirurgici: e’ meglio che venga un chirurgo solo, in modo che il secondo operatore possa essere sempre il sottoscritto. 
Nella stessa ottica penserei poco appropriato venire con le proprie strumentiste: abbiamo le nostre giovani infermiere che sono desiderosissime di imparare e che certo verrebbero tagliate fuori se l’ equipe italiana fosse compatta e numerosa.
Altra umile richiesta che faccio è quella di rispettare anche quello che già sappiamo fare: è bello per noi imparare sempre, ma è anche incoraggiante quando il volontario che viene a Chaaria per esempio apprezza che per le isterectomie (tanto per citarne una) siamo abbastanza esperti e ben orientati e che, siccome gli interventi in genere vanno bene, magari non è il caso di cambiare sempre e comunque la tecnica chirurgica. Sentirci dire sempre che quanto facciamo non va bene, rischia di essere disorientante ed anche un po’ scoraggiante.
Una parola a parte la spenderei riguardo alla anestesia: e’ certamente una buona cosa se un anestesista coraggioso e disponibile si associa al chirurgo. Abbiamo comunque due anestesisti qui a Chaaria: Jesse e Mbabu. Essi sono bravi e sanno lavorare bene. Soprattutto Mbabu che è più giovane, fa delle anestesie veramente buone ed in sicurezza. Anche Jesse comunque se la cava molto bene. L’anestesista volontario deve assolutamente saper lavorare con i nostri, pena un’inevitabile indoddisfazione del nostro staff che si sente rifiutato dai nuovi arrivati. 
Chiedo perciò agli anestesisti volontari una cordiale collaborazione ed uno scambio rispettoso con i nostri anestesisti locali.
Per il follow up dei pazienti operati, normalmente non abbiamo problemi in quanto i nostri infermieri seguono dei protocolli standard da me preparati. A motivo delle precarie condizioni igieniche in cui ci troviamo (non in sala, ma certamente in reparto), a tutti facciamo antibioticoprofilassi pre e post operatoria.
E’ una gran bella cosa se i chirughi italiani si rendono anche disponibili a visitare in ambulatorio i possibili operandi. Questo fa sì che siano essi a stabilire se un intervento deve essere fatto o meno e le difficoltà del medesimo. Naturalmente è bene che io sia informato di tutti i nuovi ricoveri, per poi preparare la lista operatoria dell’indomani.
Non insisterò mai abbastanza sul fatto che sia in sala che in ambulatorio la conoscenza della lingua inglese è centrale e permetterà una buona collaborazione con il personale locale.
Credo che queste informazioni possano tornare utili a chi pensa di venire ad aiutarci. Da parte nostra vi assicuriamo un ambiente caldo e accogliente, in cui tutti vorranno aiutarvi ed imparare da voi. Altra cosa che vi promettiamo, senza paura di essere smentiti, e’ che a Chaaria non vi annoierete; anzi, anticipatamente vi chiediamo la disponibilta’ ad essere chiamati anche di notte per le tante possibili emergenze.

Fr Beppe




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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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