venerdì 20 novembre 2015

Come è dura!

Ci sono giorni senza respiro, in cui ti alzi all'ultimo momento perchè sei più stanco di quando sei andato a letto, ed arrivi in cappella un minuto prima che inizi la preghiera.
Poi, dopo una colazione velocissima, inizia la corsa continua del servizio in ospedale. Ti pare di essere un grillo che salta di qua e di là, ma, nonostante questo non riesci a far tutto.
Ti dividi tra la sala operatoria, il reparto e gli ambulatori, e sei trafelato. Esci dalla sala sudato fradicio e vorresti riposarti, ma sulla porta già trovi qualcuno che ti chiama in sala parto per un’emergenza.
Poi c'è la coda dei pazienti ambulatoriali, qualcuno molto grave e qualcun altro completamente psicosomatico: ma bisogna prendersi cura di tutti!.
E' un classico che tu abbia appena iniziato l'ennesima ecografia e senta bussare sulla tua porta: "siamo pronti in sala con il prossimo paziente". 
Ti senti scoppiare e vorresti rispondere: "ed io invece pronto non lo sono affatto, perchè questo cliente l'ho appena iniziato e vorrei magari anche prendere un attimo di fiato prima di un'altra operazione", ma non si può e bisogna andare, dopo aver concluso con quel cliente in fretta e furia...
In tardo pomeriggio finalmente finisci i pazienti esterni ed entri per l'ultimo intervento che son quasi le 18. "Almeno hai finito l'ambulatorio" pensi soddisfatto, e ti prepari a spremere l'ultima dose disponibile di adrenalina dalle tue ghiandole surrenali. Quando però esci di sala, ecco la sorpresa devastante: nella tua cartella trovi i documenti di alcuni ritardatari ancora in attesa si essere visitati. 



Ti senti disperato ma non ci sono alternative: li devi vedere perchè comunque, ritardatari o meno, essi hanno bisogno del tuo aiuto! Una giovane donna ha anche urgente bisogno di un raschiamento uterino. Sanguina tantissimo e non puoi neanche pensare di posticipare a domani.
In giorni come questo, in cui non sei riuscito neppure a partecipare alla preghiera serale in comunità, a tavola ci arrivi stanco e sudato; ti senti uno zombi e non riesci quasi a parlare con i confratelli, cosa che fa venire qualche senso di colpa circa la qualità del tuo stare con gli altri.
Ma la cosa peggiore è ricevere una telefonata alle 22.30, quando hai a fatica terminato il giro serale in reparto, e sentire dall'altra parte della cornetta una voce conosciuta che dice: "Partiamo ora da Gatunga per un cesareo urgente".
E' una mazzata dura perchè lo sai che, nella stagione delle piogge, da Gatunga a Chaaria ci vogliono quasi tre ore. Arriveranno dopo l'una ed il cesareo finirà verso le tre di mattina.
Chaaria è proprio dura, ma è anche molto bella ed entusiasmante, ed è proprio quest'ultimo aspetto che mi affascina e mi incatena a questa realtà in cui sento di poter dare il meglio di me, pur nell’innegabile fatica.


Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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