sabato 21 novembre 2015

Esperienze dello spirito in reparto maternità

E’ indubbio che sempre provo una tenerezza infinita di fronte al mistero di una vita nascente.
Non è mai un’esperienza a cui faccio il callo ed a cui mi abituo. 

E’ nuova e grande tutte le volte, allo stesso modo in cui lo è stata la prima volta in cui ho assistito ad un parto. 
Un parto naturale che procede senza problemi ti dà una gioia profonda e difficile da esprimere con parole. Stare vicino ad una donna che prima soffriva tremendamente per le doglie ed ora è rilassata, tranquilla e gioiosa nella consapevolezza che “le è stato donato un figlio” (come direbbe la costruzione grammaticale swahili), riempie l’anima di pace. Anche quei pochi minuti che dedichi al neonato sono gioia pura: lo senti piangere o magari respirare tranquillo; lo osservi mentre si succhia un dito e si addormenta sereno. Tutto questo ti basta e ti fa sentire bene.
Di tutt’altro sapore è invece l’esperienza di assistere ad un parto con nato morto: è devastante, sia nel caso in cui la mamma già sapesse che il feto era morto in utero, sia nel caso in cui il bimbo soccomba a qualche complicazione nonostante i tuoi tentativi di rianimarlo. 
Gli occhi della mamma, che normalmente non piange, ma è devastata nel suo silenzio tombale, ti feriscono come una spada e tu non sai cosa dirle perchè sei sicuro che ogni tua parola sarebbe comunque inadeguata di fronte all’abisso di dolore che lei ha dentro. 


Portare in grembo una vita per nove mesi, e poi vedersela sfuggire tra le mani proprio quando ti sembrava di essere arrivata al traguardo e di aver ottenuto il premio, deve essere tremendo, e so che solo una donna, solo una mamma può comprendere appieno il dolore di un’altra. Io lo posso solo immaginare da molto lontano.
A volte poi, il lavoro in maternità offre esperienze di vita davvero peculiari: ho appena fatto il cesareo con successo ad una giovane che due anni fa (fortunatamente in un altro ospedale), ha perso il figlio primogenito a causa di una gestosi gravidica. E’ stato un lungo cammino che abbiamo fatto insieme ed abbiamo iniziato quasi nove mesi orsono: la signora infatti mi ha scelto all’inizio della nuova gravidanza ed ha voluto che fossi io a seguirla fin dall’inizio. Che responsabilità! Ovviamente lei era terrorizzata dal pensiero di poter perdere anche la seconda gravidanza, ed è stato quindi importante offrirle pieno sostegno psicologico ogni qualvolta la depressione o la paura facessero capolino; è stato necessario farle ecografie a go go perchè a volte la mente le faceva brutti scherzi e lei pensava di non essere più incinta, o di non sentire più i calci del suo piccoletto nella pancia. E poi la paura finale: quando fare il cesareo? Farlo troppo presto avrebbe potuto significare dare alla luce un bimbo ancora prematuro e magari perderlo per complicazioni a questo legate. Aspettare troppo avrebbe potuto significare un nuovo espisodio di gestosi a ciel sereno e forse un nuovo disastro della natura. Fortunatamente però è andata bene. Il cesareo è stato un grande successo; la bambina ha pianto subito ed è grande e vivace. Quello fatto insieme, è stato un lungo cammino di nove mesi, un cammino di pazienza, di incoraggiamento, ed anche un tempo irto di timore che le cose potessero mettersi male. Visto però che si è concluso per il meglio, mi sono però concesso il lusso di prendere in braccio quella neonata e di dire scherzosamente alla mamma: “considerato tutto il lavoro che ho fatto, questa bimba è anche un po’ mia, non ti pare?”
Il suo sorriso entusiasta mi ha ripagato di tutto: mi ha fatto capire che, insieme alla sua primogenita, le ho donato anche la certezza di essere feconda, di poter avere dei figli e di essere quindi una persona importante per suo marito...gli uomini qui voglioni figli: inutile negarlo! Nel suo sguardo ho visto come una rinascita: dalla paura di essere sterile alla certezza di essere una donna completa, almeno secondo i parametri di questa cultura.
Ringrazio Dio per le grandi esperienza umane che mi offre ogni giorno in un ambito così sensibile come la maternità. 
Concludo questo scritto un po’ in fretta perchè mi chiamano nuovamente in sala parto. Stavolta non sarà un’esperienza tanto bella, perchè una mamma con gravidanza gemellare li sta perdendo a sei mesi di età gestazionale a causa della malaria. Pensateci!

Fr Beppe Gaido

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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